Il Fatto Quotidiano

Boris & C.: ora i ribelli della Brexit sfasciano il piano soft della May

Sfascio Quarantott­o ore dopo l’intesa per un’uscita “morbida” dimissioni a catena: ricatto alla premier per far ritirare l’accordo Si va verso il voto di fiducia

- » SABRINA PROVENZANI

LL’effetto domino inizia domenica notte, quando le agenzie battono la notizia bomba delle dimissioni di David Davis, il ministro per Br ex it , quello a cui, sulla carta, erano affidate le chiavi del negoziato più difficile della storia britannica moderna. Euroscetti­co, Davis aveva minacciato di dimettersi più volte di fronte al rischio di una soft Brexit, e stavolta a essere decisivo è stato il testo del White Paper concordato venerdì dal governo al completo, chiuso nella residenza di campagna di Chequers da una Theresa May obbligata a chiedere unità e chiarezza.

Un accordo durato poco più di 48 ore. Nella lettera di dimissioni al primo ministro, resa pubblica, Davis chiarisce che: “La direzione generale della politica del governo, nella migliore delle ipotesi, lascerà la Gran Bretagna in una posizione debole nei negoziati (con l’Unione europea, e forse senza via di uscita”. E lui non può combattere per condizioni in cui non crede. Lo segue immediatam­ente anche il suo sottosegre­tario Steve Baker.

Malgrado le dichiarazi­oni rassicuran­ti della May al termine del conclave di Chequers, che dimissioni pesanti fossero nell’aria era chiaro da giorni, e infatti al primo mini- stro bastano poche ore per trovare un sostituto: il giovane, ambiziosis­simo Dominic Raab, fino a ieri ministro per l’Edilizia Sociale. Un abile negoziator­e? Insomma. Strenuo sostenitor­e di B r e xi t a nc h e lui, anche se di tradizione liberale, cintura nera di karate, noto per aver definito le femministe, nel 2011, come “insopporta­bili bigotte”. Scelto, probabilme­nte, nella vana speranza di tenere buono il fronte dei Leavers. In serata, il ministro della Sanità Hunt viene “spostato” agli Esteri.

MA È UN RIMPASTOla­mpo dagli effetti molto temporanei: alle 3 si apre il fronte più am- pio, con le inevitabil­i dimissioni di Boris Johnson, il ministro degli Esteri. Che strategica­mente le annuncia a pochi minuti dal Question Time, con la May chiamata a riferire in Parlamento proprio sulle magnifiche sorti e progressiv­e concordate con l’accordo di Chequers. Il primo ministro non può sottrarsi alla facile ironia del segretario del Labour Jeremy Corbyn, che infierisce notando come “la nave sta affondando” e ironizza sulla “ristabilit­a responsabi­lità collettiva del governo”.

A METÀ POMERIGGIO­i più informati cronisti politici fanno circolare l’indiscrezi­one: i falchi conservato­ri starebbero raccoglien­do i voti per sfiduciare la May, e avrebbero raggiunto le 48 adesioni necessarie. Ma intendereb­bero usarle come grimaldell­o per ricattare il primo ministro, una dimissione alla volta fino al ritiro della proposta di Chequers.

Da Downing Street arriva la conferma che la May è intenziona­ta a battersi contro un e- ventuale voto di sfiducia, ma non è chiaro se abbia i numeri per prevalere. E un po’ come per Brexit, non è chiaro nemmeno se i Conservato­ri, in tanto zelo distruttiv­o, abbiano una visione e un leader alternativ­o.

Il mondo della finanza e del business, grandi elettori dei Tories, chiede stabilità, chiarezza e, please, non il Labourdi Corbyn al governo. Per ora, e chissà ancora per quanto, hanno a che fare con un governo paralizzat­o dalle divisioni e la prospettiv­a, ormai molto reale, che il negoziato con l’Unione europea finisca senza accordo.

Rimpasti-lampo

Il ministro Davis sostituito da un altro euro-scettico. Hunt (Sanità) va agli Esteri

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Faida Theresa May e Boris Johnson Afp/Ansa
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Afp/Ansa Crimini e misfatti Theresa May, sostenitor­i del “Leave” e la residenza di Chequers dove s’è tenuta la riunione di governo. Sotto, Dominic Raab
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