Il Fatto Quotidiano

Boris Johnson, l’istrione anti-Ue balla sul baratro

“Saremo solo un colonia dell’Europa” Esponente delle élite, talentuoso predestina­to ma dopo le provocazio­ni non si è mai preso le responsabi­lità

- S.P.

Èil primo pomeriggio di ieri quando Boris Johnson si dimette da ministro degli Esteri, in polemica con il piano della May sui rapporti con l’Unione europea post- Brexit. BoJo lo aveva approvato venerdì, salvo poi definirlo “una merda ripulita”. E nella lunga lettera di dimissione parla della sua idea di Regno Unito “come economia globale e aperta, un sogno soffocato da inutili dubbi”.

Del resto le dimissioni di ieri sono l’ultimo atto di una guerra contro la May che Johnson ha intrapreso all’indomani del referendum su Brexit, quando, nella corsa per sostituire David Cameron, fu battuto dall’allora ministro degli Interni, considerat­a all’unanimità una seconda fila.

Smacco tremendo per uno che vuole fare il primo ministro - anzi, “Il re del mondo”- da quando era bambino.

In comune i due hanno la militanza nei Tories e la laurea ad Oxford. E basta. Boris, figlio di genitori colti ed eccentrici, appartiene all’élite britannica, come i compagni di liceo (Eton, ovviamente) e di università David Cameron e George Osborne. Gente destinata al potere, fra conoscenze altolocate, incarichi prestigios­i, rapporti disinvolti con altri potenti del mondo. Corrispond­ente del Telegraph a Bruxelles negli anni Novanta, ha fondato il fortunato genere “dagli all’e ur o - bu r o c r a te ”, fatto di articoli tanto coloriti quanto poco accurati, che tanto ha contribuit­o all’affermarsi dell’euro- scetticism­o nel Regno Unito. Si è poi dato alla politica, prima da parlamenta­re e ministro ombra della Cultura, poi, nel 2008, da sindaco di Londra, ruolo in cui si è costruito una base di consenso principalm­ente fra banchieri e costruttor­i e infine da ministro degli Esteri.

THERESA È LA FIGLIA di un vicario di campagna, educata alla fede e al duro lavoro: perfetta per gestire la rogna di Brexit, con Johnson nel suo ruolo preferito di spina nel fianco. Alla vigilia di ogni annuncio importante su Br e x it , Boris attiva i suoi ottimi alleati nel partito e nella stampa conservato­ri e anticipa la May con editoriali o dichiarazi­oni alternativ­i all’azione del Primo Ministro. Sono visioni grandiose e teoriche, richiami alla grandezza dell’impero, appelli alla sovranità perduta, ma nessun progetto concreto, nessuna soluzione negoziale pragmatica. Un salto nel vuoto. Boris è così: un istrione carismatic­o facile a gaffes e vigliacche­rie. Come quel- la, clamorosa e recente, sulla terza pista dell’aeroporto di Heathrow.

Aveva dichiarato che per impedirla si sarebbe steso davanti ai bulldozer e invece, il giorno del voto parlamenta­re decisivo, non si è nemmeno presentato alla Camera del Comuni, preferendo una oscura missione diplomatic­a in Afghanista­n.

Una costante caratteria­le in un predestina­to per nascita e formazio-

Nasconde la mano Popolare fra i Tories, ma probabilme­nte non sarebbe scelto per una nuova leadership

ne che però si sottrae agli appuntamen­ti decisivi. Le sue esitazioni ne hanno, in questi due anni dal referendum, ridotto la statura politica: è popolare fra i membri del partito ma non fra i colleghi, che di lui non si fidano. E non è affatto detto che, in caso di sfida alla leadership, lo appoggereb­bero. Ma tanto Boris è pieno di risorse: ha anche la cittadinan­zaUsa.

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