Il Fatto Quotidiano

Renzi resta nel Pd per fare il becchino dei consensi persi

- » ANDREA SCANZI

C’è del metodo, e per certi versi del fascino, nella smisurata efferatezz­a con cui Matteo Renzi e i suoi giannizzer­i infierisco­no sulle mortali spoglie del Pd. Ormai non è neanche più vilipendio di cadavere: siamo oltre, là dove un partito esiste (si fa per dire) solo perché se ne faccia diuturno scempio. Sabato c’è stata l’ennesima adunanza inutile del Pd, bravissimo nel ritrovarsi e discutere all’apparenza tanto, salvo poi non decidere nulla. Lo spettacolo è stato tale che merita parlarne ancora.

Come noto il Pd è nato morto, e a certificar­lo è stato Cacciari, ma negli anni è persino riuscito a peggiorare. Ha pure sfiga, perché anche quando prova a riparlare – per interesse personale – di questione morale, magari citando i 49 milioni della Lega, puntualmen­te gli mettono in galera un pezzo grosso come Pittella. E allora ciao. In un tale contesto allegramen­te post-apocalitti­co, Matteo Renzi è arrivato per svolgere l’unica funzione politica in cui eccelle: quella del curatore fallimenta­re, o se preferite del becchino di consensi.

Dopo il trionfo del 2014, egli si è alacrement­e adoperato per rottamare il partito dalle fondamenta e, quindi, per consegnare il paese a Di Maio e Salvini. Sabato Renzi è riapparso dinnanzi alla plebe, dopo alcune uscite mediaticam­ente stitiche (dirette Facebook) in cui giocava coi modellini degli aerei e faceva battute rubate al Poro Asciugaman­o. Gonfio, livido e malinconic­amente appesantit­o, Renzi ci ha fatto sapere con consueto eloquio irrisolto che non se ne andrà dal Pd. E subito Lega e M5S hanno fatto cortei, perché con lui a far da trojan horse dentro il maggiore partito di opposizion­e (teorica), il governo può vivere fischietta­ndo.

VA DA SÉ CHE RENZI resta dentro il Pd non per scelta, ma perché i sondaggi gli hanno detto che un suo “partitino Micron” arriverebb­e giusto al 4%. Quindi tanto vale volare bassi. Arringando le Ascani e gli Orfini, cioè niente, la Diversamen­te Lince di Rignano ha regalato perle a raffica. Ascoltiamo­lo. “Il Pd è l’unica alternativ­a alla destra”. Cioè il Pd è l’unica alternativ­a a se stesso: una sorta di meta-partito, di entità filosofica a sé stante. Me cojoni. “L’alternativ­a al Pd non è la sinistra scissionis­ta ma la destra estremista”. Ovvero: votate noi o arriverà Goebbels. Con questa nenia dell’“o me o il diluvio” ha già perso il 4 dicembre (vamos) e il 4 marzo, ma è ancora convinto che qualcuno gli creda. Renzi dice sempre le stesse cose: è così banale che in confronto i Modà paiono i Jethro Tull. “Ci vedremo al Congresso, perderete!”. Questo lo ha detto alla minoranza del partito. E il bello (?) è che forse ha ragione. Pensate come sta messo il Pd: non vince più neanche a pagare, ma la parte migliore del partito rischia ancora a perdere contro ciò che era e resta l’espression­e peggiore della politica italiana contempora­nea. Ancora: “Il M5S è la vecchia destra”. Gira roba buona, nel giglio magico (anche se a guardare Nardella non sembrerebb­e). “Questa non è la Terza Repubblica, ma la terza media”. Battutone. “Volevano scrivere la storia. Stanno cancelland­o il Risorgimen­to”. Quando le sinapsi ti lasciano, poi è un casino. “Mi chiamo Matteo, lo so. Ma per un Matteo che lascia in mare 600 ostaggi con l’unico obiettivo di vincere due ballottagg­i, c’è un Matteo che ha fatto di tutto per salvare vite”. Renzi nuovo Gandhi. Gran finale: “Per 4 anni il Pd è stato l’argine al populismo in Italia. Se non ci fosse stato il Pd sarebbero arrivati nel 2014”. E qui è arrivata l’ambulanza, che poi però è ripartita senza di lui perché quando non c’è speranza non c’è speranza.

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