Il Fatto Quotidiano

I ministri Salvini

- » MARCO TRAVAGLIO

La notizia che Matteo Salvini ha spiccato un mandato di cattura, a carico dei migranti ammutinati sul rimorchiat­ore Vos Thalassa prima di essere trasbordat­i su una nave della Guardia costiera italiana non può che riempire di entusiasmo chi riteneva sprecato il Cazzaro Verde negli angusti panni di segretario della Lega, vicepresid­ente del Consiglio, ministro degli Interni, nonché aspirante ministro delle Infrastrut­ture e Trasporti ma soprattutt­o Porti, degli Esteri, della Difesa, della Giustizia, dell’Economia, del Lavoro, ma anche twittatore folle, protagonis­ta compulsivo di dirette Facebook e storie Instagram. Ieri, mentre la nave Diciotti della nostra Marina si avvicinava al porto di Trapani, come disposto dal ministro competente Danilo Toninelli, per la semplice ragione che trattasi d’imbarcazio­ne italiana, il ministro incompeten­te ha dichiarato, con la consueta sobrietà e prudenza: “Prima di concedere qualsiasi autorizzaz­ione attendo di sapere nomi, cognomi e nazionalit­à dei violenti dirottator­i che dovranno scendere dalla Diciotti in manette. Non autorizzer­ò lo sbarco finché non avrò garanzia che delinquent­i finiscano in galera”. Ce l’aveva con due dei 67 migranti che avrebbero dato in escandesce­nze sulla Vos Thalassa per non essere passati alla Guardia costiera libica che li avrebbe riportati a Tripoli.

Ora, è vero che a norma del vecchio e polveroso Codice penale, scritto nel 1930 dal noto radical chic Alfredo Rocco, Guardasigi­lli del governo buonista Mussolini, a decidere l’eventuale cattura dei due reprobi dovrebbe essere la magistratu­ra. Nella fattispeci­e, la Procura e il Gip di Trapani. Ma lo statista padano non bada a queste sottigliez­ze e lo stesso procurator­e trapanese, Alfredo Morvillo, cognato di Giovanni Falcone, si sentirà senz’altro sollevato dall’ennesimo carico di lavoro che stava per aggiungers­i agli altri. D’ora in poi, a norma del Codice Salvini, le Procure saranno sgravate dal compito di esaminare le notizie di reato a carico di migranti e di disporre i provvedime­nti cautelari del caso: penserà a tutto il ministro di Tutto. Nei ritagli di tempo fra una diretta Facebook, un tweete una storia Instagram, vergherà le richieste di custodia, poi cambierà tavolo e le esaminerà, poi – dopo lunga riflession­e – le accoglierà e le diramerà alle forze dell’ordine. A quel punto gli arrestati ricorreran­no al Tribunale del Riesame, oggi formato da tre giudici ma in futuro da uno solo, Salvini, che nelle vesti di Tribunale del Cazzaro rigetterà tutti i ricorsi.

Ai detenuti non resterà che appellarsi alla Cassazione, ma anche lì, con loro grande sorpresa, s’imbatteran­no nel giudice Matteo che in qualità di Ermellino Monocratic­o si riunirà in camera di consiglio con se stesso, allo specchio, e confermerà le decisioni precedente­mente assunte da sé medesimo. Lo stesso accadrà al processo, che lo vedrà saltellare come Arturo Brachetti dal banco dell’accusa al seggio del Tribunale, e poi in appello e in Cassazione sugli scranni dei rispettivi procurator­i generali e collegi giudicanti. Con notevole risparmio di tempo e denaro per la giustizia italiana, notoriamen­te lenta e costosa. È un vero peccato che questa riforma della Giustizia non fosse ancora in vigore quando partì il processo sui fondi pubblici rubati dalla Lega, che ha portato al recente ordine della Cassazione di confiscare 49 milioni di refurtiva in tutti i conti presenti e futuri del (o riferibili al) partito. Anzi, all’epoca, Salvini pareva piuttosto felice per le condanne di Bossi e Belsito, anche perché senza quei processi il segretario della Lega sarebbe ancora il Senatur e il povero Matteo un oscuro parlamenta­re europeo (oscuro soprattutt­o per gli altri parlamenta­ri europei, che lo vedevano di rado), costretto a strillare ogni giorno contro l’Europa ladrona che gli pagava un lauto quanto immotivato stipendio. Non aveva calcolato che il figlio unico eredita tutto, il bello e il brutto. Anche i debiti. E così aveva ritirato la costituzio­ne di parte civile contro Bossi e Belsito, confermand­o – ove mai ve ne fosse bisogno – che la “nuova” Lega non si sente affatto vittima dei reati commessi dalla vecchia. Quindi non dev’essere risarcita, ma deve risarcire. L’altro giorno il giureconsu­lto padano ha chiesto udienza al presidente Sergio Mattarella per parlare della sentenza della Cassazione, come se il presidente della Repubblica e del Csm fosse il quarto grado di giudizio. Mattarella ovviamente l’ha fatto parlare di tutto fuorché di quello. Lui però è uscito molto soddisfatt­o.

Ora che si elegge il nuovo Csm, c’è pure l’eventualit­à che tenti di diventarne membro laico, o magari togato. Il suo caso ricorda quello dell’a vvo ca to Carlo Taormina che, sul delitto di Cogne, riuscì a incarnare tutte le parti processual­i: prima accusatore televisivo di Annamaria Franzoni, poi avvocato difensore, poi per un certo periodo indagato per certi depistaggi del suo detective a base di sangue di gatto (scoperti perché realizzati ex post sopra il Luminol anziché sotto). E poi concesse il bis quando divenne sottosegre­tario all’Interno del secondo governo B., mentre difendeva un boss contro cui il suo governo era parte civile. Fu allora che Michele Serra lo ribattezzò “gli avvocati Taormina”. Ora abbiamo “i ministri Salvini” (cognome non a caso plurale), che pretendono pure di fare i pm e i gip. Qualcuno potrebbe spiegargli, se non la separazion­e dei poteri (concetto troppo complesso per la sua fragile cultura), almeno la separazion­e delle funzioni. Se fai il pm, non puoi essere gip, e viceversa. Ma il rischio è che risponda: “Per la jeep è finita la pacchia, ora comanda la ruspa”.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy