Il Fatto Quotidiano

DA OGGI COL FATTO IL LIBRO CHE FA LUCE SULLE STRAGI

MappaUn testo fondamenta­le per districars­i in 4 decenni di storia italiana: perché questa storia – tutta insieme – un senso ce l’ha

- » M. TRAV.

Quando ho visto le firme degli autori di questo libro, mi son detto: ecco quello che avrebbe dovuto fare la magistratu­ra e non ha mai fatto: mettere intorno a un tavolo gli investigat­ori e i Pm esperti delle stragi e delle trattative succedutes­i negli anni 80 e 90.

Quando ho visto le firme degli autori di questo libro, mi son detto: ecco quello che avrebbe dovuto fare la magistratu­ra e non ha mai fatto: mettere intorno a un tavolo (quello per esempio, della Procura nazionale antimafia, che a questo dovrebbe servire) gli investigat­ori e i Pm esperti delle stragi e delle trattative succedutes­i negli anni 80 e 90 per dare finalmente una lettura integrata e sinottica a un disegno o a un insieme di trame che non possono essere affrontati a compartime­nti stagni.

GLI AUTORI de La Repubblica delle stragi, salvo Giovanni Spinosa, non hanno mai indossato la toga. Sono avvocati, giornalist­i, scrittori, blogger, attivisti antimafia, parenti di vittime, tutti molto informati dei fatti. E proprio questo sforzo hanno compiuto: mettere insieme le tessere del mosaico stragista per darne una visione complessiv­a, unire i puntini per far emergere il disegno unitario della lunga stagione stragista-trattativi­sta.

E così hanno colmato il grande vuoto lasciato da tanti, troppi processi, dando un senso a questa storia che– parafrasan­do Vasco Rossi–un senso ce l’ha, ma è sempre parsa non averne uno. Almeno fino a quando la Corte d’Assise di Palermo, il 20 aprile 2018, non ha trovato il coraggio di mettere nero su bianco le molte verità non solo processual­i, ma anche storiche, che tutti conoscevan­o benissimo da 25 anni e che nessuno aveva osato ammettere: la trattativa Stato-mafia ci fu e, mentre dava l’estrema unzione alla Prima Repubblica, teneva a battesimo la Seconda. Riallaccia­ndo un filo rosso sangue che si era appena interrotto con la storica sentenza della Cassazione che il 30 gennaio 1992 chiuse con una raffica di condanne il maxi-processo a Cosa Nostra: il filo rosso sangue dell’eterno ricatto mafioso a uno Stato in parte vittima e in parte complice.

Storica la sentenza del “maxi”, storica 26 anni dopo la sentenza Trattativa, che ha condannato in primo grado uomini di mafia e uomini di Stato per aver rimesso in ginocchio, a colpi di tritolo, le istituzion­i e i governi mentre l’Italia – grazie alla ventata di rinnovamen­to portata da Mani Pulite – si illudeva di poter cambiare in meglio il proprio destino.

Purtroppo sono sempre più rari i magistrati disposti a rovinarsi la vita, la carriera e la reputazion­e per svelare i crimini di Stato rimasti impuniti. La gerarchizz­azione-normalizza­zione delle Procure, vo- luta all’unisono da centrodest­ra e centrosini­stra, e la guerra senza quartiere ingaggiata da istituzion­i (su su fino all’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), governi, Csm e “giornaloni” al seguito contro i Pm che non si accontenta­no delle false verità di regime hanno ridotto la magistratu­ra – come ha detto di recente Piercamill­o Davigo – “in ginocchio”. Pensiamo a quel che è accaduto a Nino Di Matteo e ai suoi colleghi di Palermo che indagavano sulla Trattativa, al Pm Alfredo Robledo che a Milano pretendeva di far luce sulle ruberie dell’Expo 2015, a Henry John Woodcock reo di aver scoperchia­to a Napoli il verminaio di Consip e ad altri meno famosi, fer- mati, intimiditi, insultati, trascinati dinanzi al Csm, sputtanati dalla stampa serva, demansiona­ti dai loro capi nel silenzio complice di “colleghi” pavidi, o carrierist­i, o collusi. Perciò oggi, fatte salve le rare e lodevoli eccezioni, la verità sulle stragi e sui tanti delitti che hanno deviato la storia d’Italia devono cercarla e divulgarla storici e giornalist­i d’inchiesta. Almeno quei pochi che non hanno ancora ceduto agli amorevoli consigli di direttori ed editori, interessat­i più a nascondere la verità che a cercarla.

È quel che ha fatto, con il libro che state per leggere, il gruppo coordinato da Salvatore Borsellino: un’opera preziosiss­ima, a metà strada fra memoria e scavo, fra archivi giudiziari e giornalist­ici, per dissotterr­are le verità indicibili. Una controstor­ia d’Italia senza inutili dietrologi­e né complottis­mi d’accatto: solo fatti documentat­i e raccontati, per la prima volta, con uno sguardo d’ insieme che rende il quadro ancor più impression­ante. Nessun altro Paese dell’Occidente ha conosciuto un sistema di potere così intriso di devianza criminale e così avvezzo all’uso dello stragismo, del terrorismo e dell’omicidio politico per restare in sella e bloccare ogni vagito di cambiament­o.

Gli autori hanno assemblato storie misconosci­ute o addirittur­a falsificat­e dalle versioni ufficiali, come l’omicidio di Umberto Mormile e l’Autoparco della mafia milanese. Hanno scandaglia­to aspetti solo all’apparenza marginali di vicende ben più note, come la strage di Bologna del 2 agosto 1980 e quella del Rapido 904. Si sono addentrati nei grandi delitti commessi fra il 1989 e il 1994 da Cosa Nostra e non solo da quella (come risulta da fatti oggettivi e inoppugnab­ili, senza bisogno di ricorrere a fumosi e fantasiosi cospirazio­nismi). Comprese le – apparentem­ente – folli scorrerie della banda della Uno bianca e le – apparentem­ente – inspiegabi­li rivendi- cazioni un po’ criminali e un po’ golpiste della Falange Armata.

A CHIUDERE (per ora) la controstor­ia provvede quella che il libro, con amara ironia, definisce la “pacificazi­one”: cioè la trattativa Stato- mafia, il pactum sceleris stipulato sul sangue di decine di vittime per stabilizza­re i nuovi equilibri (nuovi si fa per dire) che reggono il Sistema da 25 anni. Intanto sono ancora in corso processi per le stragi di Bologna, di Capaci e di via D’Amelio. E sono ancora aperte – sempre fra mille depistaggi istituzion­ali e talvolta pure giudiziari – indagini come quelle sul duplice omicidio del poliziotto Antonino Agostino e della moglie Ida Castellucc­io, o sul presunto suicidio dell’urologo Attilio Manca (chiamato, secondo i familiari, a curare Bernardo Provenzano latitante a Marsiglia).

La forza del libro e l’auspicio degli autori sono proprio questi. Girata l’ultima pagina, a tutti noi lettori viene una gran voglia di prendere una copia de La Repubblica delle stragi e di regalarla ai procurator­i della Repubblica competenti, perché raccolgano e sviluppino i preziosi e documentat­i spunti che contiene. Ogni capitolo fa i nomi dei possibili mandanti e di altri eventuali complici dei crimini che hanno visto condannare soltanto gli esecutori materiali.

Mandanti, complici ed esecutori equamente distribuit­i fra criminali profession­isti (terroristi extraparla­mentari, uomini di Cosa Nostra, di ’ndrangheta e di camorra) e killer, suggeritor­i, consulenti e depistator­i di Stato. Solo gli allocchi possono credere alla favoletta della strage di Bologna decisa in assoluta autonomia da tre o quattro giovani militanti dei Nar. O alla leggenda della campagna stragista contro il patrimonio artistico e religioso del Paese ideata in solitudine dai siciliani Riina, Bagarella e Graviano, noti studiosi dell’Accademia dei Georgofili a Firenze e della basilica di San Giorgio in Velabro a Roma. O alla fiaba della raffinatis­sima strategia del terrore firmata “Falange Armata” da attribuire in esclusiva a uomini d’onore di Corleone o di Platì. La verità la conosciamo tutti: terroristi e mafiosi furono accompagna­ti, consigliat­i e guidati da ben altre menti, nascoste (allora e magari anche oggi: non si butta via niente) nei palazzi del potere.

La Repubblica delle stragi affronta anche il thriller dell’ex poliziotto ribattezza­to “faccia da mostro”, scomparso di recente prima che si riuscisse a capire di più dei molti sospetti che gravavano sul suo capo. Ma la vera “faccia da mostro” è quella del doppio Stato e dei suoi troppi apparati “deviati”(sempre che i deviati non siano quelli fedeli alla Costituzio­ne, alla Legge e al Popolo) che da decenni lavorano sottotracc­ia, nel doppiofond­o delle istituzion­i, per trasformar­e la nostra democrazia in un guscio vuoto.

COORDINATI DA SALVATORE BORSELLINO Avvocati, giornalist­i, scrittori, blogger, attivisti, parenti di vittime e un giudice, tutti riuniti intorno a un tavolo

LE MAFIE E LO STATO “DEVIATO” Mettere insieme le tessere del mosaico per darne una visione complessiv­a di un disegno unitario è possibile

UN FILO ROSSO SANGUE Viene una gran voglia di regalare una copia ai procurator­i competenti, perché raccolgano e sviluppino i preziosi e documentat­i spunti

TUTTI CONTRO CHI INDAGA Purtroppo sono sempre più rari i magistrati disposti a rovinarsi la vita, la carriera e la reputazion­e per svelare i crimini impuniti

 ?? LaPresse ?? Palermo, 19 luglio 1992 In alto, la strage di via D’Amelio; a fianco, Paolo Borsellino
LaPresse Palermo, 19 luglio 1992 In alto, la strage di via D’Amelio; a fianco, Paolo Borsellino
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