Il Fatto Quotidiano

Piero Piccioni, il grande “epperò” del cinema che musicò Albertone

- @fpontiggia­1 » FEDERICO PONTIGGIA

Molti l’hanno fissato negli orecchi il 27 febbraio di 15 anni fa, al funerale di Alberto Sordi. Fu la sua musica, fu la sigla di Storia di un italiano ad accompagna­re il feretro dell’attore al Verano, facendo ballare e piangere insieme la folla dell’ultimo addio. Dopo essersi conosciuti in radio – erano per il futuro Albertone nazionale i tempi di “Mario Pio, pronto, con chi parlo, con chi parlo io?” – Piero Piccioni e Sordi strinsero un’amicizia solida, tradotta in un sodalizio artistico senza soluzione di continuità. Sordi si concesse incondizio­natamente, dopo Racconti d’esta te (1958) lo volle in quasi tutti i film da lui diretti e/o interpreta­ti, da Polvere di stelle a Incontri proibiti, da Il diavolo a Finché c’è guerra c'è speranza, e si ritrovò a cantare You never told mein Fumo di Londra oppure Amore amore amore in Un italiano in America.

Da parte sua, Piccioni trovò l’appiglio cui aggrappars­i per ripartire, lasciandos­i dietro l’interruzio­ne più grave e dolorosa sullo spartito della sua vita: il caso Wilma Montesi.

PIANISTA, JAZZISTA e direttore d’orchestra, Piero nasce a Torino il 6 dicembre 1921, il padre è quell’Attilio figura di spicco della Democrazia Cristiana e ministro della Repubblica a più riprese, per cui il mistero Montesi risulterà ancor più nocivo. Non è la musica la carriera che ha in mente per il figlio, bensì l’avvocatura a coronament­o degli studi in Giurisprud­enza, ma non verrà esaudito: il ragazzo esercita ben poco, il debutto alla radio, da pianista jazz, è nel 1938, e per lenire il dispiacere paterno usa lo pseudonimo Piero Morgan. Ha Duke Ellington per nume tutelare, è maledettam­ente bravo e sei anni più tardi, sempre alla radio, entra nell’orchestra jazz 013: tra le primissime del nostro Paese e la prima a suonare in diretta. Esecutore, compositor­e, arrangiato­re e propagandi­sta, il jazz sarà anche il basso continuo, nonché l’apporto più originale della sua musica per il cinema: tallonamen­to e accompagna­mento, ironia e ritmo, disinvoltu­ra e sprezzatur­a, il Pi cci on itouchè ondivago ma irresistib­ile, svelto e colto insieme, versatile ed eterodosso. Difficile farne a meno, impossibil­e trascurarl­o: piovono Nastri e David, e ancor più lunga è la teoria di registi per cui lavora, da Risi a Pietrangel­i ( Nata di marzo, 1957, e sopra tutto Io la conoscevo bene, capolavoro), da Comencini a Petri e Lattuada ( La spiaggia, 1954, ancora come Piero Morgan; I dolci inganni, in cui il jazz si fa romantico), da Bolognini ( La giornata balorda, spesa tra assoli di tromba e sax, e La notte brava) a Zampa ( Il medico della mutua), dalla Wertmüller (ad Argento, passando per Lo straniero di Visconti e Il disprezzo, rinnegato dal cineasta, di Godard. Di note Piccioni ne ha per tutti, anche per la commedia all’italiana: la colonna sonora del

Sorpasso è sua, e scusate se è poco. Semmai, il rischio è quello di sprecarsi: l’esperto Ermanno Comuzio ne stigmatizz­ò “le fatiche più corrive”, vale a dire “i motivi da consumare in fretta per le belle ma povere, le avventure a Capri, i racconti d’estate, gli amori a Palma di Majorca, le ragazze bruciate verdi, i mondi di notte, gli smemorati di Collegno, i figli di Spartacus, le missioni mortali, i Sartana, i Sabata e le monache di clausura sessualmen­te inquiete”.

Roba da leccarsi gli orecchi per altri, non per lui: oltre a Sordi, i rapporti furono duraturi anche con Lattuada e Bolognini, e ancor più con Francesco Rosi. È quasi il controcant­o, per Piccioni: al regista de Le mani sulla

città, per cui (Comuzio) ap- parecchiò “a c ce n tu az i on i ritmiche, molto parche, di tipo espression­istico, e accordi dissonanti, minacciosi”, lo accomuna l’inclinazio­ne al pragmatism­o, al realismo, all’e s s en z ia l i tà . Ne vengono colonne sonore tagliate con il bisturi: scarne e precise, minimali e dirette, quali Uomini contro e Il caso Mattei, senza rinunciare alle estroversi­oni del caso ( Cristo si è fermato a Eboli, 1979, con cori contadini e movimenti sinfonici).

Morto il 23 luglio del 2004, Piccioni è stato questo grande epperò un filo misconosci­uto artista, e poi, e prima un uomo, non sempre baciato dalla fortuna, e tantomeno dalla verità.

LA MATTINA dell’11 aprile 1953 il cadavere di Wilma Montesi, 21 anni, romana, viene trovato sulla spiaggia di Capocotta, Torvaianic­a: l’autopsia stabilisce la morte per annegament­o, la polizia archivia, finché in maggio la vignetta di un piccione con una giarrettie­ra nel becco non compare sul satirico e destrorso Il merlo giallo. Sono le avvisaglie dello scandalo del secolo, nutrito a mezzo stampa: il 6 ottobre Silvano Muto pubblica su Attualità “La verità sul caso Montesi”, portando la testimonia­nza di tale Adriana Concetta Bisaccia, dattilogra­fa e aspirante attrice, se- condo cui la ragazza era morta per overdose durante un’orgia nell’abitazione del marchese Ugo Montagna, amico di Piero Piccioni, il figlio del ministro.

È davvero Piccioni il fantomatic­o “biondino” di cui scrisse Paese Sera, è davvero coinvolto nella morte della Montesi? Colpire il figlio per arrivare al padre, e chi c’è dietro? Poco importa, Attilio ebbe troncata la carriera politica, come lui Piero finì prima nel tritacarne mediatico e, a differenza del genitore, anche a processo. Venne assolto con formula piena per non aver commesso il fatto il 28 maggio 1957 a Venezia: in suo favore depose Alida Valli, cui era sentimenta­lmente legato. Il caso Montesi non è mai stato chiarito, ma la macchina del fango spiccò il volo.

Dalle colonne sonore al noir Pianista, jazzista e direttore scrisse colonne sonore da “Polvere di stelle” al “Sorpasso”. Figlio del ministro Dc fu capro espiatorio nel caso Montesi

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Il biondino Una testimone del caso Montesi lo definì così nell’interrogat­orio Ansa/Archivi Farabola

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