M5S, guerra contro Tria “Faremo pulizia al Mef”
Cosa c’è dietro l’attacco alle “lobby”: il titolare del Tesoro adesso finisce nel mirino dei 5 Stelle (che accusano anche Padoan)
Alla guerra. Contro il ministero dell’Economia e la Ragioneria, contro “la macchina dei Palazzi” come la definiscono i Cinque Stelle. Ma anche e soprattutto contro Giovanni Tria. È lui l’obiettivo finale dell’ira del vicepremier e capo politico del M5S, Luigi Di Maio. Perché l’attacco di ieri sugli 8 mila posti di lavoro che si perderebbero ogni anno con il decreto Dignità, cifra “apparsa di notte” nella relazione tecnica secondo Di Maio (qui a fianco si racconta la storia), è un segnale.
INNANZITUTTO agli apparati di Via XX Settembre, accusati dal governo di essere troppo legati al precedente esecutivo. “Ma devono capire che guida la politica, ovvero che ora comandiamo noi”, ringhiano dal Movimento, dove enumerano resistenze e perfino dispetti da parte di dirigenti. Evocando anche influenze esterne. “Nessuna lobby riuscirà a fermarci” assicura un dimaiano di ferro come il sottosegretario Stefano Buffagni. Però il messaggio bellico fatto trapelare ieri sull’agenzia AdnKronos, quello sulla “pulizia da fare al Mef” togliendo i dirigenti legati all’ex ministro Padoan, arriva più lontano. E colpisce Tria. Accusato di essersi consegnato alla gerarchia del ministero. E di voler lasciare fuori dalla porta M5S e Lega, sulla linea come sulle competenze. E la pri- ma dimostrazione sarebbe la battaglia sulle deleghe, tuttora congelate da Tria. Per l’ira dei sottosegretari a 5Stelle, Laura Castelli e Alessio Villarosa, e il disappunto di quello indicato dalla Lega, Massimo Garavaglia.
Ma è baruffa anche sul nuovo direttore generale del Tesoro. Con Tria che vuole a tutti i costi Alessandro Rivera, già in corsa per quel ruolo ai tempi del governo Renzi. Ma mentre la Lega non ha posto obiezioni, il M5S è con- trarissimo, perché bolla Rivera come filo-dem. Però il ministro non molla. E in un vertice di pochi giorni fa a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Di Maio ha riproposto la candidatura. Respingendo con i suoi modi forbiti da accademico i tre, che invocavano le deleghe. “Lascerete fare qualcosa anche a me?”, avrebbe ironizzato.
Niente deleghe
L’ira dei sottosegretari ancora senza poteri, lo scontro per la nomina del direttore generale
Se insinuano che qualcuno della mia ex squadra si sia comportato scorrettamente, magari perché sobillato, lo respingo con sdegno
L’EX MINISTRO PADOAN
MA NEL GOVERNO hanno poca voglia di scherzare. E cresce l’insofferenza per il Tria che si smarca dai diarchi Salvini e Di Maio, su tutto, rivendicando la sua linea europeista. E l’ultimo esempio è la blanda presa di distanza dal capo dei 5Stelle sul no alla ratifica dell’accordo Ceta. “Ma noi dobbiamo andare a fare a sportellate in Europa per chiedere flessibilità”, avvertono dal M5S. Quindi, “Tria deve ascoltarci e capire che non esistono intoccabili. Quando è stato necessario abbiamo litigato anche con il Colle...”. Ma sull’altra sponda c’è il Mef, dove non incassano in silenzio. “Il decreto Dignità era scritto male e c’erano molti problemi sulle coperture”, fanno notare. Ricordando come anche “il Quirinale abbia ritocca- to in vari punti il testo” (vero). E una risposta anonima plana anche sulle agenzie: “Le relazioni tecniche sono presentate insieme ai provvedimenti dalle amministrazioni proponenti”. In questo caso dal Mise, il ministero di Di Maio, che reagisce male: “Sono sbalordito, la prossima volta metterò sotto scorta il dl quando lo mando in giro. Non ho capito per- ché abbia reagito il Mef, io non l’ho nominato”. E nella contesa si infila anche Padoan: “Se insinuano che qualcuno della mia ex squadra si sia comportato scorrettamente, magari perché sobillato, lo respingo sdegnosamente”. Controreplica di Di Maio: “Padoan non abbia la coda di paglia”. Sillabe da guerra, in corso.