Il Fatto Quotidiano

Signorsì e Signornò

- » MARCO TRAVAGLIO

Da anni non guardo il Tg1 per motivi di igiene personale. Quindi non conosco Claudia Mazzola, la telegiorna­lista inserita dai 5Stelle nella cinquina di aspiranti candidati al nuovo Cda Rai messi ai voti sulla piattaform­a Rousseau. L’unica cosa che so di lei è quel che leggo sui social, stupiti dal fatto che i 5Stelle la candidino dopo che quattro anni fa Rocco Casalino l’aveva duramente attaccata sul blog di Grillo per un suo servizio, accusandol­a di“disinforma­zione ”,“propaganda del governo” e “vergogna”; e alcuni parlamenta­ri M5S avevano chiesto le dimissioni sue e dell’allora direttore Mario Orfeo. Il che mi basta e mi avanza per sperare vivamente che Claudia Mazzola, se ha i requisiti di competenza, entri nel nuovo Cda Rai. Sarebbe il primo caso, nella storia repubblica­na, di lottizzazi­one all’incontrari­o: cioè di un partito che premia nel “servizio pubblico” un suo avversario, vero o presunto. Se pensiamo ai Cda precedenti, o anche solo all’ultimo (pieno di ex parlamenta­ri o di portaborse che a stento distinguon­o un televisore da un forno a microonde, con un paio di lodevoli eccezioni, fra cui di Carlo Freccero, indicato dai 5Stelle senz’averli mai votati), sarebbe un enorme passo in avanti. E una sorprenden­te prova di intelligen­za e apertura mentale da parte di un movimento che spesso compie sforzi immani per apparire stupido e intolleran­te almeno quanto i partiti che dice di combattere.

Per lo stesso motivo sarebbe una gran cosa se Conte e Di Maio confermass­ero a presidente dell’Inps un illustre economista come Tito Boeri. Nominato da Renzi malgrado il grave handicap di non essere toscano e di non appartener­e al Giglio Fradicio, Boeri era entrato quasi subito in rotta di collisione col presunto rottamator­e (che voleva cacciarlo già un anno fa), mostrando un’indipenden­za che ora lo rende immune da qualunque sospetto di collusione con i partiti. È vero: l’ha fatta fuori dal vaso con la seconda relazione tecnica al decreto Dignità che, con criteri economicam­ente molto dubbi, prevede un crollo di 8 mila contratti a tempo determinat­o all’anno (e perché non 6,5 o 9,7? Boh). Un oracolo che ha lo stesso valore scientific­o di un oroscopo e che la Ragioneria dello Stato – quella sì sospettabi­le di remare contro il nuovo governo, all’insegna del motto di tutti gli Ancien Régime: “Quieta non movere et mota quietare” – ha subito colto al balzo per dare una mano alle solite lobby. Ma i governi intelligen­ti le voci critiche e autorevoli come quella di Boeri devono attirarle e incoraggia­rle, non respingerl­e e segnerle. Evitare accuratame­nte di circondars­i di yesmen.

E, fra un Signorsì e un Signornò, preferire sempre il secondo. Il potere dà alla testa e avere a tiro qualcuno che ti aiuta a non sbagliare e a tenere i piedi per terra è la migliore garanzia di successo e di longevità. Se, al posto della sua corte di tirapiedi & leccapiedi toscani, Renzi si fosse circondato di tanti Boeri (che invece restò rara avis, e sempre in bilico) in grado di contraddir­lo, avrebbe capito per tempo quand’era il caso di fermarsi. Un attimo prima di varare la Buona Scuola, il Jobs Act e altre boiate che gli inimicaron­o milioni di italiani. Un istante prima di schiantars­i sulla Costituzio­ne, sull’Italicum e sul Rosatellum. E un secondo prima di stroncare sul nascere il dialogo con i 5Stelle, per gettarli fra le braccia di Salvini. Anche B. si era giocato due governi su tre per non aver saputo ascoltare prima Bossi, che rovesciò il primo sulla riforma delle pensioni, e poi gli alleati centristi e finiani, che lasciarono il terzo in dissenso sull’economia e sulla legalità.

Chi pretende cieca obbedienza e fedeltà assoluta, cioè le virtù dei cani e i vizi degli uomini stupidi, resta solo con un branco di bestie e di cretini. E si suicida. È il rischio che corrono ora i nuovi detentori del potere, se non sapranno scegliersi i collaborat­ori giusti, cacciando i veri nemici con un sano spoils systeme conservand­o o attirando i veri amici. Anche se oggi, nella strana alleanza giallo-verde, le forze centrifugh­e sono molto più spiccate che nelle coalizioni precedenti, perché il governo Conte non si regge su un’alleanza strategica fra partiti contigui, ma su un’unione tattica suggellata da un contratto fra due contraenti diversi, se non opposti, e certamente concorrent­i. Estinta FI e disperso il Pd, la dialettica maggioranz­a-opposizion­e si gioca tutta nell’area di governo. E addirittur­a in seno al contraente maggiore: i 5Stelle, che lasciano convivere varie anime molto diverse e talora contraddit­torie (attorno a Di Maio, Grillo, Fico e Di Battista), mentre la Lega appare per ora (ma fino a quando?) un monolite plasmato a immagine e somiglianz­a del capo assoluto Salvini, che come il duce ha sempre ragione e non viene mai messo in discussion­e da alcuno. Al momento, l’assenza di voci critiche dal fronte leghista potrebbe indurre Di Maio a tacitare le voci critiche dentro e fuori i 5Stelle per strillare più di Salvini e contenderg­li la scena. Ma sarebbe pura miopia. Se l’opposizion­e tace perché non sa cosa dire, le diversità nel movimento e nel governo vanno non solo tollerate, ma incoraggia­te come un valore aggiunto e un’opportunit­à per il futuro. Non è affatto detto che il potere logori chi ce l’ha e che il 32% del 4 marzo sia una vetta ineguaglia­bile da cui si può solo scendere. I primi successi raccolti in Europa sui migranti da due figure mediaticam­ente inconsiste­nti come Conte e Moavero dimostrano che gli strilli quotidiani alla Salvini non pagano. Alla lunga gli italiani ubriachi di sparate potrebbero stufarsi e preferire uno stile di governo sempre intransige­nte nei fatti, ma più tranquilli­zzante nei toni. Allora chi avrà più frecce al proprio arco vincerà. E chi ne avrà una sola, magari spelacchia­ta, perderà.

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