Il Fatto Quotidiano

COME SI FERMANO I FALÒ DI RIFIUTI IN TERRA DI MAFIA

Gli incendi negli impianti di raccolta spesso servono per coprire smaltiment­o illecito. Le mani della criminalit­à e i buchi nei controlli. A partire dai meccanismi della differenzi­ata

- ▶ GIANFRANCO AMENDOLA

Puntualmen­te, con l’estate aumentano gli incendi negli impianti di rifiuti. Ma forse qualcosa sta cambiando. Perché finalmente, a fronte dell’ultimo, gravissimo rogo di San Vitaliano ( Napoli), il ministero dell’Ambiente, grazie al cambio di gestione, sembra intenziona­to a intervenir­e con decisione.

Il nuovo ministro, generale Costa, infatti, non solo ha subito attivato il Noe dei carabinier­i per le dovute indagini, ma ha messo sul tappeto due importanti proposte struttural­i: da un lato ha richiesto che tutti i provvedime­nti relativi alla Terra dei fuochi (soprattutt­o in tema di bonifiche) passino sotto la competenza del suo ministero; e dall’altro che in tutta Italia i siti di stoccaggio dei rifiuti siano considerat­i “sensibili” e rientrino, quindi, nel piano coordinato di controllo del territorio gestito dalle Prefetture con tutte le forze dell’ordine.

Esattament­e l’opposto del suo predecesso­re, il quale si era limitato a una “circolare” (non vincolante per nessuno) del tutto inutile, per ricordare (male) le norme applicabil­i agli impianti di stoccaggio rifiuti.

Eppure ormai nessuno può negare il gravissimo fenomeno di questi incendi in impianti di rifiuti: più di 250 in meno di tre anni, con un vertiginos­o aumento dal gennaio del 2015 all’agosto del 2017, come accertato dalla Commission­e bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlati; cui si aggiungono almeno altri successivi 128 incendi come documentat­o sul suo blog dall’on. Claudia Mannino.

Ma quali sono le cause di un fenomeno così rilevante e in deciso aumento? Purtroppo, quasi mai sono state esperite indagini approfondi­te in proposito. Anzi, come risulta dalle risposte delle varie Procure della Repubblica alla Commission­e bicamerale, almeno un terzo di questi incendi non è stato neppure segnalato alla magistratu­ra; ma, anche quando segnalazio­ne vi è stata, il tutto si è concluso con l'archiviazi­one (quasi sempre perché ignoti gli autori) e solo nel 13% dei casi si è esercitata l'azione penale; non tanto però per il delitto di incendio, doloso o colposo (solo 5 casi), quanto – ed è significat­ivo – per altri reati, di tipo ambientale, derivanti da irregolari­tà nella gestione degli impianti.

Ed è altrettant­o significat­ivo ricordare, in proposito, che Roberto Pennisi, magistrato della Direzione distrettua­le antimafia, ha recentemen­te dichiarato che “l'autocombus­tione non esiste” e che dietro questi incendi “vi sono solo interessi criminali” in quanto “si brucia per coprire altri reati”.

Del resto, sempre la Commission­e bicamerale ha evidenziat­o tra le cause del fenomeno “la possibilit­à, determinat­a da congiuntur­e nazionali e internazio­nali, di sovraccari­co di materia non gestibile, che quindi dà luogo a incendi dolosi ‘liberatori’”; richiamand­o la circostanz­a che dal 2017 la Cina ha imposto un drastico giro di vite alle importazio­ni di rifiuti, specie italiani.

Ed è ancora più significat­ivo, a questo punto, evidenziar­e che molti degli impianti andati a fuoco erano in rapporti commercial­i da e con soggetti già indagati o condannati per reati relativi alla violazione della normativa sui rifiuti: in particolar­e per il delitto di traffico illecito.

Appare, quindi, fondato il sospetto che buona parte di questi incendi servano a risolvere situazioni di illegalità divenute ingombrant­i o pericolose per le stesse imprese andate a fuoco.

Le motivazion­i più probabili sono quelle collegate alla elusione dei costi connessi con una corretta gestione dei rifiuti che sono stati accolti negli impianti a fronte di un corrispett­ivo, spesso molto cospicuo; tanto più se si verte in un quadro di illegalità ambientale.

E questo non riguarda solo i casi più eclatanti, quando i rifiuti derivano da un traffico clandestin­o. Ma anche e soprattutt­o il caso di chi agisce in un apparente quadro di legalità, ma non può permetters­i di subire controlli sulla quantità dei rifiuti ricevuti e sulla qualità della sua gestione.

Un incendio, ad esempio, può servire a evitare controlli sul combustibi­le da rifiuti prodotto al di fuori delle specifiche di legge, per cui l’impresa ha, tuttavia, già percepito contributo all’ingresso del rifiuto. O a evitare che si scopra che l’impresa ha ricevuto contributi o, comunque, compensi, per rifiuti non riciclabil­i o non autorizzat­i fatti figurare in ingresso con falsi codici.

In questo quadro, appare certamente rilevante e meritevole di approfondi­mento la circostanz­a che molti degli impianti andati a fuoco rientravan­o nell’ambito dell’accordo Anci-Conai per il riciclo e il recupero, dietro corrispett­ivo pubblico, dei rifiuti urbani raccolti dai Comuni. Riciclo che, ovviamente, richiede come presuppost­o una buona qualità della raccolta differenzi­ata. Sotto questo profilo, non sempre i Comuni che si presentano come “raccoglion­i” sono anche “ricicloni”. Se, infatti, come spesso avviene nel nostro Paese, la raccolta differenzi­ata è di qualità scarsa, difficilme­nte i rifiuti potranno essere correttame­nte riciclati; tanto è vero che, in questi casi, devono essere mandati in discarica, in evidente contraddiz­ione con le finalità della raccolta differenzi­ata.

E, si badi bene, il nodo dei controlli è di fondamenta­le importanza anche per quanto riguarda la prevenzion­e degli incendi. Le indagini della Commission­e bicamerale sull’incendio del 2017 all’impianto di rifiuti della Eco X di Pomezia hanno evidenziat­o che l’impianto non aveva avuto controlli sull’attività – nonostante un (giustament­e) preoccupat­o esposto degli abitanti della zona –, aveva in deposito quantità di rifiuti ben superiori al consentito; vi erano rifiuti che non era autorizzat­o a ricevere; e, soprattutt­o, non aveva presidi antincendi­o né alcun piano di emergenza come prescritto dalla legge. Anzi, era stato addirittur­a diffidato a mettersi in regola dai vigili del fuoco e non aveva ottemperat­o, senza altra conseguenz­a che una “multa” irrisoria.

Ecco perché l’iniziativa del ministro Costa proprio per incentivar­e i controlli sugli impianti di rifiuti è da condivider­e senza riserve.

Speriamo solo che venga subito messa in opera. Altrimenti è facile essere profeti e pronostica­re che nei prossimi giorni alcuni impianti oggi traboccant­i di rifiuti prenderann­o fuoco improvvisa­mente. Non a caso, dopo Napoli, sono già andati a fuoco altri due impianti di rifiuti a Macerata e a Muggiano.

ANTIMAFIA

Il pm Pennisi: ‘L’autocombus­tione non esiste’, ‘dietro questi incendi vi sono solo interessi criminali’, ‘si brucia per coprire altri reati’

GOVERNO

Costa vuole che le misure sulla Terra dei fuochi siano di sua competenza E che i siti di stoccag gio siano sotto il controllo delle Prefetture

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Un militare sul luogo di un rogo doloso di rifiuti
LaPresse Veleno Un militare sul luogo di un rogo doloso di rifiuti
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