Libero scambio, firmato l’accordo col Giappone
Opposizione dal governo, che invece si era opposto al Ceta. Ecco le differenze tra i trattati
Tanto clamore sul Ceta, l’accordo di libero scambio tra Europa e Canada - che la maggioranza non ratificherà in parlamento - e molto silenzio per la firma, arrivata ieri, del trattato con il Giappone. Eppure, si tratta del più grande accordo siglato dall’Ue, il suo valore commerciale è quasi il doppio del Ceta visto che il Giappone è il secondo partner dopo la Cina, e sesto in termini assoluti. I negoziati sono iniziati nel 2013, l’accordo prevede la graduale eliminazione dei dazi sull’importazione: sul 94 per cento dei prodotti dall’Ue e sul 99 per cento di quelli dal Giappone. Il Jafta (l’acronimo) è stato finalizzato l’8 dicembre del 2017 e approvato dagli Stati membri durante l’ultimo Consiglio d’Europa.
LA PRIMA differenza, rispetto al Ceta, è che questo accordo non prevede la ratifica da parte degli Stati membri perché non contiene alcun articolo sugli investimenti. La Commissione Ue ha stabilito infatti che alcune disposizioni di grande interesse per il settore agroalimentare, come l’accesso al mercato e altre questioni legate all’agroalimentare ( protezione delle indicazioni geografiche, questioni di Sicurezza sanitaria e fitosanitaria etc.) fossero di propria competenza, per cui gli accordi che non contengono disposizioni su gli investimenti, necessitano della sola ratifica delle istituzioni Ue (Consiglio e Parlamento europeo) e non dei Parlamenti nazionali. Tanto che il contenuto dell’accordo è noto solo perché pubblicato grazie ad un leak di Greenpeace (il Ceta è stato pubblicato in modo ufficiale).
Inoltre, il Jefta non prevede l’istituzione del cosiddetto ICS ( Investment court system), un sistema giudiziario per gli investimenti che - nell’ambito dell’accordo - dovrebbe risolvere le controversie tra i governi e gli investitori (previsto invece nel Ceta o nel Ttip come Isds). Nonostante ciò, le criticità che vengono segnalate per il settore alimentare e lavorativo sono praticamente le stesse. Sono eliminati del tutto i dazi su alcuni formaggi a pasta dura come, mentre verrà stabilita una quota fissa e non tassata di importazioni di formaggi freschi come la mozzarella. Via le tariffe sulle esportazioni di vino, diminuiscono i dazi sulla carne bovina, mentre il commercio della carne di maiale, che è il pro- dotto agricolo dell’Ue più esportato in Giappone, sarà esente dai dazi se trasformata o avrà dazi ridotti dal 38,5% al 9% in 15 anni se fresca.
Inoltre, saranno migliorate le norme a tutela di oltre 200 prodotti europei di alta qualità: le indicazioni geografiche. Se per il Ceta, però, la tutela di 41 marchi italiani era stata giudicata limitata, in questo caso ne sono tutelati pochi di più (44), di cui 18 sono alimenti e 26 bevande. Altro punto debole è, se- condo i critici, la liberalizzazione totale di prodotti chiave come la pasta e i cioccolatini (in 10 anni) e salsa di pomodoro (5 anni). Preoccupazioni anche per gli Ogm e i prodotti ftosanitari. La risposta è la creazione di dieci tavoli di dialogo tra regolatori Ue e del Giappone sulle questioni di competenza nazionale come appalti, agricoltura, sicurezza alimentare. Il problema è che non c’è alcun riferimento che garantisca il coinvolgimento ai tavoli dei parlamenti nazionali.
TRA GLI EFFETTIpositivi, una maggiore apertura in otto anni per il mercato automobilistico e in sei anni sugli apparecchi televisivi mentre l’export europeo beneficerà dell’eliminazione delle imposte nei settori farmaceutico, trasporti, servizi finanziari e telecomunicazioni. L’accordo prevede anche il trattamento non discriminatorio delle imprese europee che operano nel mercato degli appalti giapponesi. Sul lavoro, però, il Giappone non ha ratificato due delle otto convenzioni fondamentali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.