La festa di Sandino è un bagno di sangue
Contro Ortega Le organizzazioni internazionali accusano il capo dello Stato. Chiesa sotto attacco
Èun
anniversario dal sapore amaro. Oggi, 19 luglio, in Nicaragua si celebra la festa nazionale in ricordo del trionfo della rivoluzione sandinista che nel 1979 portò alla capitolazione del regime di Anastasio Somoza Debayle. Ma oggi l’aria di festa non si addice al Paese centroamericano, l’atmosfera di gioia stride con il terrore della quotidianità, la repressione attuata dal governo di Daniel Ortega che concentra su di sé i poteri di capo del governo e capo di Stato. Impressionanti le cifre riportate da Amnesty International: da aprile scorso – mese in cui iniziarono le manifestazioni di protesta organizzate soprattutto dagli studenti – si sono registrati più di 360 morti, 60 desaparecidos e 2.000 feriti. Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe, de- nuncia: “Le autorità nicaraguensi hanno sottoposto la popolazione a un assalto crudele, sistematico e spesso letale al diritto alla vita, al diritto alla libertà d’espressione e a quello di manifestare pacificamente. Il governo del presidente Ortega sta vergognosamente cercando di nascondere queste atrocità”.
IL 19 LUGLIO di 39 anni fa Daniel Ortega, all’epoca 34enne, vestiva i panni del liberatore (era a capo della guerriglia rivoluzionaria d’ispi razione marxista che sconfisse Somoza) ora indossa quelli del dittatore sanguinario.
Per reprimere i cortei degli studenti scesi in piazza per protesta contro la riforma che ha aumentato il contributo sociale dei dipendenti, dei datori di lavoro e tagliato le pensioni, la polizia è stata autorizzata a sparare ad altezza uomo. Secondo Amnesty Inter- national lo testimoniano le traiettorie dei proiettili: i colpi sono stati esplosi mirando a testa, collo e petto. E non è tutto: “La polizia e i gruppi armati filo- governativi hanno commesso anche molte esecuzioni extragiudiziali”.
Da ormai tre mesi il Paese vive una violenza senza precedenti nella propria storia re- cente. L’ultimo scontro armato si è registrato a Masaya, cittadina a 30 km dalla capitale Managua, fino a ieri roccaforte delle proteste contro Ortega. L’assalto delle truppe governative (il primo bilancio è di tre morti) ha espugnato il barrio indio di Monimbó, quartiere simbolo della città che sin dall’avvio della rivolta, il 18 aprile scorso, ha alzato barricate. A guidare l’offensiva contro i manifestanti sono i grupos de coque: militanti governativi armati e pronti a tutto, che agiscono a fianco delle forze dell’or din e. Masaya è anche la città simbolo della rivoluzione sandinista, perché qui partì l’offensiva finale dei sandinisti contro la Guardia Nazionale somozista qualche settimana prima dell’entrata trionfale a Managua il 19 luglio 1979.
PER IL POLITOLOGO e scrittore basco Iosu Peralis (un tempo vicino al Fronte sandinista) “l’attuale massacro è il risultato di un dispiegamento repressivo della forza la cui responsabilità politica ricade sul presidente Daniel Ortega. Se un governo di sinistra spara a chi protesta, come ci differenziamo dalla destra?”.
Le opposizioni e la Chiesa vivono c os ta nt em en te sotto attacco. Domenica il vescovo di Estelí, Abelardo Mata, è scampato a un agguato delle forze paramilitari. Il veicolo su cui il prelato viaggiava è stato crivellato da colpi d’arma da fuoco a Nindirí, vicino Managua. Il nunzio apostolico in Nicaragua, mons. Waldemar Stanislaw Sommertag, ha rivolto a nome di papa Francesco un appello a porre fine alle violenze: “Il Papa è preoccupato per la difficilissima situazione”.
Mesi di terrore 360 omicidi, 60 desaparecidos, 2000 feriti: con questi numeri si ‘celebra’ la vittoria del 19 luglio ’79