Deodato, il “Cannibale” che reinventò l’horror
Seconda puntata dedicata al cinema dimenticato Il regista è considerato il padre degli “snuff movie”, tanto da attirarsi una condanna per offesa al buon costume Poi si è convertito alle fiction
C’è un’invenzione italiana e dunque una scopiazzatura americana, dietro l’horror dei miracoli The Blair Witch Project, che usciva nelle sale statunitensi il 16 luglio del 1999 – da noi sarebbe arrivato il 18 febbraio 2000. La “creatura” dei registi e sceneggiatori Daniel Myrick e Eduardo Sánchez ha un merito invidiabile, forse da spartirsi con il successivo Paranormal Activity (2009): il miglior rapporto costi/ricavi della storia del cinema.
Budget di appena 60 mila dollari, incassò tra Los Angeles e New York la bellezza di 140 milioni, cui vanno aggiunti i 108 rastrellati nel resto del mondo: 248.639.099 dollari totali, un botteghino da non crederci. Fu non solo un caso cinematografico, ma un fenomeno sociale, imperniato su una trovata all’apparenza semplice: spacciarsi per documentario ( mockumentary), ovvero il montaggio dei nastri rinvenuti nei boschi di Burkittsville, Maryland, e realizzati da tre ragazzi scomparsi.
Quando arrivò sullo schermo a mo’ di storia vera ( found footage), per tacere dell’utilizzo della macchina a mano e delle immagini “rovinate”, critici e cinefili riandarono con la memoria vent’anni addietro a un film, questo sì, seminale: Cannibal Holocaust , scritto e diretto da Ruggero Deodato, la cosa più vicina a uno snuff movie mai transitata per una sala cinematografica
SUL TAVOLO autoptico della censura nostrana rimasero ben 326 metri di pellicola, ma la sforbiciata non fu sufficiente: uscito a Milano nel febbraio del 1980, lo scandalo fu così dirompente, l’accoglienza così drastica che Deodato dovette presentarsi in questura con l’interprete Luca Barbareschi per dimostrare plasticamente come gli omicidi inquadrati fossero pura finzione, ossia come gli attori fossero vivi e vegeti. Non bastò a salvare il film, che venne ritirato dalle sale per quattro anni, e a salvare il suo autore, che venne condannato a quattro mesi di reclusione, con la condizionale. Non potendo imputargli la decimazione del cast, gli addebitarono l’offesa al buon costume e, sopra tutto, l’uccisione di alcuni animali, segnatamente un maialino, un topo, una tartaruga e delle scimmie, che il regista peraltro asserì fossero finiti sulla tavola degli indios peruviani.
Girata in 16 mm, con la pellicola graffiata per veicolare l’effetto- verità, la seconda parte del film, The Green Inferno, plausibilmente catalizzò in Myrick e Sánchez La strega di Blair: calco o meno, dal 1999 c’è stata gloria riflessa per Cannibal Holocaust, assurto a cult sciagurato, capolavoro proibito e via lodando. Non horror però, a dar retta allo stesso Deodato, che ha sempre preferito avocarsi tensione realistica e foggia documentaristica: pane al pane, viscere alle viscere. Alla coppia di Blair Witch P ro je ct meditò l’accusa di plagio, per poi lasciar perdere: signori si è, e le efferatezze a mezzo cinema non traggano in inganno.
NATALI a Potenza il 7 maggio 1939, residenza non solo fisica ai Parioli, “sette fratelli che non hanno mai visto un mio film” e la faticaccia di fare l’ultimo, il truculento Ballad in Blood presentato due anni fa al Lucca Film Festival. Monsieur Cannibal in Francia, campione di visioni in Giappone, dove Holocaust si fa bagnare il naso solo da E . T ., appassionato fautore del cinema di genere, indefesso rivendicatore del mestiere italiano.
Quentin Tarantino ne rimane incantato: è lui a rivalutare quello splatter impietoso, a idolatrarne gli effetti speciali fatti in casa, a partire dalla donna impalata che campeggia sulla locandina. E cerca di sdebitarsi: Ruggero interpreta un cannibale italiano in Hostel: Part IIp rodotto dall’autore de Le iene e diretto dal sodale Eli Roth, che al cineasta dedica anche un esplicito, ma non particolarmente gradito, omaggio con The Green Inferno (2013), copia carbone di Holocaust con impaginazione Millennial.
Alle convention Oltreoceano Deodato fa sfaceli, ma siamo fuori tempo massimo: continuare su quella scia di sangue è risultato proibitivo per il misconosciuto demiurgo che è. Da lustri il cinema italiano non ha più spazio per il genere, figurarsi per i suoi cannibali gore: Ruggero è un reduce.
Ispirato sottotraccia al caso Meredith Kercher, Ballad in Blood arriva 36 anni dopo Cannibal Holocaust e 23 dopo il penultimo Vortice mortale. In mezzo, non è più l’artefice del peplum Ursus il terrore dei Kirghisi (1964, girato a quattr’occhi con Antonio Margheriti) o del crudo poliziottesco Uomini si nasce poliziotti si muore (1976), nemmeno di Ultimo mondo cannibale ( 1977) e della conclusione della trilogia antropofaga Inferno in diretta (1985), nonché del catastrofico Concorde Affaire ’79. No, Deodato deve fare di necessità virtù, traslocare la camera nei territori meno nobili e tuttavia meno perigliosi di pubblicità e fiction. Suo malgrado, alle nostre latitudini diventa il regista di Incantesimo e dei Ragazzi del muretto. Nemo cannibale in patria.
Scopiazzature “Blair Witch Project” è un plagio di un suo film uscito nel 1980 A lui si è ispirato anche Tarantino, che l’ha scritturato in “Hostel II”