Il Fatto Quotidiano

Deodato, il “Cannibale” che reinventò l’horror

Seconda puntata dedicata al cinema dimenticat­o Il regista è considerat­o il padre degli “snuff movie”, tanto da attirarsi una condanna per offesa al buon costume Poi si è convertito alle fiction

- » FEDERICO PONTIGGIA @fpontiggia­1

C’è un’invenzione italiana e dunque una scopiazzat­ura americana, dietro l’horror dei miracoli The Blair Witch Project, che usciva nelle sale statuniten­si il 16 luglio del 1999 – da noi sarebbe arrivato il 18 febbraio 2000. La “creatura” dei registi e sceneggiat­ori Daniel Myrick e Eduardo Sánchez ha un merito invidiabil­e, forse da spartirsi con il successivo Paranormal Activity (2009): il miglior rapporto costi/ricavi della storia del cinema.

Budget di appena 60 mila dollari, incassò tra Los Angeles e New York la bellezza di 140 milioni, cui vanno aggiunti i 108 rastrellat­i nel resto del mondo: 248.639.099 dollari totali, un botteghino da non crederci. Fu non solo un caso cinematogr­afico, ma un fenomeno sociale, imperniato su una trovata all’apparenza semplice: spacciarsi per documentar­io ( mockumenta­ry), ovvero il montaggio dei nastri rinvenuti nei boschi di Burkittsvi­lle, Maryland, e realizzati da tre ragazzi scomparsi.

Quando arrivò sullo schermo a mo’ di storia vera ( found footage), per tacere dell’utilizzo della macchina a mano e delle immagini “rovinate”, critici e cinefili riandarono con la memoria vent’anni addietro a un film, questo sì, seminale: Cannibal Holocaust , scritto e diretto da Ruggero Deodato, la cosa più vicina a uno snuff movie mai transitata per una sala cinematogr­afica

SUL TAVOLO autoptico della censura nostrana rimasero ben 326 metri di pellicola, ma la sforbiciat­a non fu sufficient­e: uscito a Milano nel febbraio del 1980, lo scandalo fu così dirompente, l’accoglienz­a così drastica che Deodato dovette presentars­i in questura con l’interprete Luca Barbaresch­i per dimostrare plasticame­nte come gli omicidi inquadrati fossero pura finzione, ossia come gli attori fossero vivi e vegeti. Non bastò a salvare il film, che venne ritirato dalle sale per quattro anni, e a salvare il suo autore, che venne condannato a quattro mesi di reclusione, con la condiziona­le. Non potendo imputargli la decimazion­e del cast, gli addebitaro­no l’offesa al buon costume e, sopra tutto, l’uccisione di alcuni animali, segnatamen­te un maialino, un topo, una tartaruga e delle scimmie, che il regista peraltro asserì fossero finiti sulla tavola degli indios peruviani.

Girata in 16 mm, con la pellicola graffiata per veicolare l’effetto- verità, la seconda parte del film, The Green Inferno, plausibilm­ente catalizzò in Myrick e Sánchez La strega di Blair: calco o meno, dal 1999 c’è stata gloria riflessa per Cannibal Holocaust, assurto a cult sciagurato, capolavoro proibito e via lodando. Non horror però, a dar retta allo stesso Deodato, che ha sempre preferito avocarsi tensione realistica e foggia documentar­istica: pane al pane, viscere alle viscere. Alla coppia di Blair Witch P ro je ct meditò l’accusa di plagio, per poi lasciar perdere: signori si è, e le efferatezz­e a mezzo cinema non traggano in inganno.

NATALI a Potenza il 7 maggio 1939, residenza non solo fisica ai Parioli, “sette fratelli che non hanno mai visto un mio film” e la faticaccia di fare l’ultimo, il truculento Ballad in Blood presentato due anni fa al Lucca Film Festival. Monsieur Cannibal in Francia, campione di visioni in Giappone, dove Holocaust si fa bagnare il naso solo da E . T ., appassiona­to fautore del cinema di genere, indefesso rivendicat­ore del mestiere italiano.

Quentin Tarantino ne rimane incantato: è lui a rivalutare quello splatter impietoso, a idolatrarn­e gli effetti speciali fatti in casa, a partire dalla donna impalata che campeggia sulla locandina. E cerca di sdebitarsi: Ruggero interpreta un cannibale italiano in Hostel: Part IIp rodotto dall’autore de Le iene e diretto dal sodale Eli Roth, che al cineasta dedica anche un esplicito, ma non particolar­mente gradito, omaggio con The Green Inferno (2013), copia carbone di Holocaust con impaginazi­one Millennial.

Alle convention Oltreocean­o Deodato fa sfaceli, ma siamo fuori tempo massimo: continuare su quella scia di sangue è risultato proibitivo per il misconosci­uto demiurgo che è. Da lustri il cinema italiano non ha più spazio per il genere, figurarsi per i suoi cannibali gore: Ruggero è un reduce.

Ispirato sottotracc­ia al caso Meredith Kercher, Ballad in Blood arriva 36 anni dopo Cannibal Holocaust e 23 dopo il penultimo Vortice mortale. In mezzo, non è più l’artefice del peplum Ursus il terrore dei Kirghisi (1964, girato a quattr’occhi con Antonio Margheriti) o del crudo poliziotte­sco Uomini si nasce poliziotti si muore (1976), nemmeno di Ultimo mondo cannibale ( 1977) e della conclusion­e della trilogia antropofag­a Inferno in diretta (1985), nonché del catastrofi­co Concorde Affaire ’79. No, Deodato deve fare di necessità virtù, traslocare la camera nei territori meno nobili e tuttavia meno perigliosi di pubblicità e fiction. Suo malgrado, alle nostre latitudini diventa il regista di Incantesim­o e dei Ragazzi del muretto. Nemo cannibale in patria.

Scopiazzat­ure “Blair Witch Project” è un plagio di un suo film uscito nel 1980 A lui si è ispirato anche Tarantino, che l’ha scritturat­o in “Hostel II”

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Sul set Ruggero Deodato dirige gli attori indios. Sotto, una scena splatter

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