Il Fatto Quotidiano

Vincino, il “poveraccio” che non ha fatto la storia ma l’ha raccontata

SATIRA Il primo tomo (ma chissà se uscirà il secondo) dell’autobiogra­fia del vignettist­a

- » MARIO NATANGELO

“Io

non ricordo come ricordo questo ricordo però ricordo”: così inizia l’autobiogra­fia Mi chiamavano Togliatti di Vincino, vignettist­a de Il Foglio e motore (im)mobile della satira italiana dagli anni 60 a oggi.

Una vita raccontata per giornali, da L’Ora di PalermoaL’avventuris­ta di Lotta Continua, poi Il Male,

Tango, Il Foglio, Corriere della Sera e ancora altri.

Una storia di riviste senza una lira e di contratti milionari, banchetti mondani e pezze al culo, risse furiose, morte e galera. Il vignettist­a Vincino è uno stratega impegnato in una perenne partita a scacchi contro il potere, qualsiasi esso sia, ma la cui minaccia è sempre uguale e l’autore ce la svela con un incubo avuto ai tempi in cui raccontava a disegni il Maxi-processo di Palermo: che uno di quei mafiosi gli tagliasse le mani. Non che lo uccidesse, badate bene: che gli tagliasse le mani. Si è discusso molto di cosa sia la satira, specie dopo la carneficin­a di Charlie Hebdo del gennaio del 2015: nell’autobiogra­fia di Vincino c’è l’essenza della satira. “Un altro incontro con i fascisti avviene a Gela, mentre torno a casa da solo di notte. Cinque fascisti mi attorniano: ‘Rosso, di’: Viva il Duce!’. E io: ‘Viva il Duce!’. Me la scapolo così. Lo so, non è onorevole ma mi salvo il culo”: la satira ‘se la scapola’, quando può, sfugge a una situazione pericolosa sfilando via la testa dal cappio. Ma nel cappio la testa ce la infila volentieri, il cappio è l’essenza della satira: senza cappio, non c’è satira.

E DI QUANTI CAPPI racconta Vincino, e di quante provocazio­ni ritirate per scapolarse­la. Accetta di tacere una volta per continuare a colpire, perché la voce non si spenga mai e le mani non siano tagliate. Dal primo giornalino scolastico sul quale ha iniziato a pubblicare vignette (all’età di undici anni) fino a oggi. Da Gianni Riotta a Enzo Biagi passando per Eugenio Scalfari, Lucia Annunziata, Claudio Sabelli Fioretti e altri ancora, Vincino dipinge un ritratto spietato non solo della classe politica, ma anche del mondo giornalist­ico. Ma sia chiaro: Vincino non è un eroe, Vincino si presenta come un poveraccio che non ha fatto la storia ma l’ha raccontata, combattuta e spesso subita. Vincino è pragmatico, senza soldi non si campa: “Non ho mai rifiutato soldi”, scrive, e quando lo critica-

no per avere accettato un premio ‘borghese’ come il Premiolino (uno dei più importanti premi giornalist­ici italiani) e i relativi 3 milioni di lire, lui risponde con una vignetta che recita: “Lettore, se ritieni che debba rifiutare il premio, invia Tre Milioni specifican­do: per Vincino acciocché rifiuti il Premiolino”. Vincino è un poveraccio, ma è uno che si è divertito da matti. Vincino è uno che non ha avuto pietà per nessuno e mai per se stesso. Vincino è uno che i limiti della satira “li infrangiam­o tutti con convinzion­e e pervicacia”. Vincino ha fatto lavori per il Pci facendosi pagare dalla Lega delle cooperativ­e ( Tangentopo­li, do

you remember?), Vincino ha scoperto chi c’era dietro il Golpe Tejero in Spagna, Vincino ha minac- ciato di buttarsi di sotto – alla Camera, dinanzi a un’inferocita Nilde Iotti – perché volevano impedirgli di disegnare dal vivo. Vincino è uno che scrive “un’autobiogra­fia disegnata a dispense - Tomo I° (abbiate fede)” sapendo benissimo che il Tomo II non ci sarà ma noi avremo fede. Eccolo, Vincino. Ecco la satira.

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Ritratti spietati Vincino tratteggia il mondo politico, ma anche quello del giornalism­o

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