“La Bari siamo noi”: il funerale di una città senza più la squadra
LA LIQUIDAZIONE I tempi di Oronzo Pugliese, i sogni di Cassano, Conte e poi la coppia Bonucci-Ranocchia, per finire con lo stadio in abbandono e alla disperazione dei tifosi
“La Bari siamo noi!”, reclamano ancora oggi le gloriose bandiere biancorosse che sventolavano già nel vecchio stadio della Vittoria e hanno continuato a sventolare fino a poche settimane fa, anche sotto le cupole sdrucite di quell’astro nave intestata con una buona dose d’irriverenza al patrono San Nicola. E “la Bari siamo noi!”, abbiamo gridato per più di cinquant’anni dagli spalti noi tifosi, fin da ragazzini e poi da adulti, rivendicando con orgoglio un’appartenenza calcistica e sentimentale a una squadra e a una città.
Sì, una “squadra-ascensore”, come dicono con sufficienza mista a un certo disprezzo gli ermeneuti del pallone, destinata cioè a fare la spola tra il paradiso della Serie A, il purgatorio della Be l’inferno delle serie minori. L’unica squadra di calcio che, nei suoi 110 anni di storia appena compiuti, chissà come, quando e perché è diventata “transgender” passando dal sesso femminile a quello maschile. “La squadra più stramba del calcio italiano”, come la definisce lo storico barese Gianni Antonucci. Una “Regina dei poveri” che non è mai riuscita a farsi Re, nonostante la fede inossidabile di tanti sudditi devoti che perfino nello scorso campionato, in bilico fino all’ultimo tra la permanenza in B e la promozione in A, le ha tributato un primato di presenze – fra abbonati e spettatori – in tutta la serie cadetta: tanto da far invidia a diverse società blasonate della massima divisione.
IN QUESTO MONDOimpazzito del pallone, dove la ricca Juventus elargisce 120 milioni di euro netti in quattro anni – 30 all’anno, un euro al secondo – a un fuoriclasse come il portoghese Cristiano Ronaldo, la povera Bari va in fallimento perché non si trovano tre-milioni-tre di euro per la ricapitalizzazione. E adesso rischia – usiamo ancora questo verbo per scaramanzia fino alla scadenza di domani – di vedersi addirittura revocata l’iscrizione alla B. Per poi precipitare nel girone infernale della serie D, pagando una fideiussione di 35mila euro e un’iscrizione di 16.500. O al più, essere ripescata in C, per grazia (eventualmente) ricevuta dal commissario della Federcalcio, in virtù di un “lodo” (fideiussione 350 mila euro, iscrizione 100 mila) che implicherebbe comunque un investimento di 6-7 milioni per tentare un’im- mediata risalita in B. Che tristezza e che vergogna, per tutti noi cittadini e tifosi baresi! La memoria torna con nostalgia ai fasti della serie A, quando la vecchia Bari di Erba e Cicogna trionfava allo stadio della Vittoria; quella insolente di Oronzo Pugliese sfidava le “big” da pari a pari, perché tanto “11 sono loro e 11 siamo noi, 22 gambe hanno loro e 22 ne abbiamo noi”; o quella più recente di Enrico Catuzzi, Eugenio Fascetti, Antonio Conte e Giampiero Ventura metteva in campo un gioco moderno e piacevole, con la coppia centrale Bonucci-Ranocchia, entran- do di diritto nella “top ten” della Serie A. Fino all’expl oit di Antonio Cassano, genio e sregolatezza, che aveva imparato a dribblare gli avversari nei vicoli malfamati di Bari vecchia. Ma i veri “fans”, inguaribili fanatici superstiti, non potranno dimenticare neppure le esaltanti stagioni delle promozioni nella massima divisione, con i funambolici gol di Mujesan e di Protti. Né le avventurose trasferte al seguito dei “galletti” sui terreni più accidentati della B. E purtroppo, neppure le miserie del calcio-scommesse, con l’imperdonabile tradimento di Masiello, autore di un autogol al prezzo di 300 mila euro proprio nel derby in casa contro il Lecce. Di fronte al miserabile fallimento di quest’ultima gestione, sotto l’infausta presidenza dell’imprenditore molfettese Cosmo Antonio Giancaspro, qualcuno forse rivaluterà retrospettivamente l’era dei Matarrese, la potente famiglia di costruttori baresi guidata da Antonio, detto Tonino, l’ex deputato democristiano che dalla presidenza del Football Club Bari assurse a quella della Figc. Un’epopea calcistica durata più di trent’anni, dal 1977 al 2011, fra alti e bassi, luci e ombre, ma complessivamente propizia per la squadra e per la società.
Ora il fallimento della Bari è anche il fallimento di un’intera città, mortificata emblematicamente dalla tendopoli del Tribunale e dal degrado dello stadio-astronave. Il fallimento di una classe politica e di una classe dirigente che per incapacità o per ignavia non sono riuscite a evitare un tale scempio. Ma “la Bari siamo noi”, noi cittadini baresi di nascita o di adozione, residenti o emigrati, che non possiamo rassegnarci ad assistere inerti a questa disfatta.
Quale futuro? Chiuso (male) lunedì scorso il tentativo di ricapitalizzazione, il rischio è quello di precipitare nel girone infernale della serie D