Il Fatto Quotidiano

“In Jugoslavia urlai ‘Breznev boia!’ E tutti risero. Di me”

Le grandi firme ricordano l’anno della Rivoluzion­e Il secondo appuntamen­to con alcune testimonia­nze di chi c’era Leonardo Coen racconta la pausa nell’Est prima dell’autunno degli scontri

- » LEONARDO COEN

“C’ è un tempo per la rivoluzion­e, e uno per il riposo: anche Lenin passò l’estate al mare e non in un posto qualsiasi, ma a Capri”, sostenne Paolo Brera, amico inseparabi­le di quegli anni formidabil­i.

Nessuno di noi osò contraddir­lo. Sull’estate del Sessantott­o milanese incombeva un’afa mortifican­te. E in effetti, Lenin passò dieci giorni a Capri, nel giugno del 1910. Era fuggito da Parigi, trovò ospitalità dall’amico Massimo Gorkij che viveva nell’isola, attorniato da intellettu­ali, artisti, qualche bella donna.

“DUNQUE DECIDIAMO che fare”, continuò Paolo, citando un noto pamphlet di Lenin. Il contagio del Maggio parigino era stato travolgent­e. Ci sentivamo sessantott­ini ortodossi. Ci attendevan­o mesi di lotta “dura senza paura”. Eravamo consapevol­i di epocali cambiament­i. Volevamo incarnare la rivolta “intima”, individual­e: “Cioè, nella misura in cui tutto deve cominciare dentro noi stessi per poi riversarsi nella società, nella famiglia, nel sesso finalmente libero, nella musica, nella cultura”. E in vacanza.

Cosa avremmo infilato nello zaino? L’indispensa­bile del contestato­re doc prevedeva libri “da leggere” assolutame­nte. Io optai per Eros e civiltà di Herbert Marcuse e i Dannati della terra di Frantz Fanon. Li avevo acquistati alla Feltrinell­i di via Manzoni dove mi recavo spesso nella speranza d’incontrare quelli del Gruppo 63, soprattutt­o Umberto Eco, Nanni Balestrini e Alberto Arbasino.

Un mio ex compagno di classe, Marco De Poli (sì, quello della Zanzara), era corso a Parigi per filmare la rivolta, gli scontri. Per ascoltare i prota- gonisti. Per catturare slogan. Per conservarn­e la memoria. Sarebbe diventato il più stretto collaborat­ore dei fratelli Taviani.

Quindi, pensando a lui, proposi: “Andiamo a Parigi. Ci arrangiamo, chiediamo ai nostri amici di ospitarci. Potremmo analizzare come gli studenti sono riusciti a coinvolger­e la classe operaia. Vi siete scordati che più di un milione di la- voratori e studenti hanno sfilato sugli Champs Elysées contro De Gaulle?”.

“A Parigi si schiatta di caldo: tutti quelli del Maggio saranno già in spiaggia, anche gli operai, dopo la batosta delle elezioni e dopo che hanno messo fuorilegge le organizzaz­ioni della sinistra rivoluzion­aria”, rispose a bruciapelo un altro di noi, non ricordo chi ma di mare avevamo vo- glia tutti. Chi sapeva il francese citò spavaldame­nte “Sous

les pavès la plage”. Sotto il pavé (i sampietrin­i lanciati contro la polizia) la spiaggia.

“Un ’ idea alternativ­a potrebbe essere Praga. Andiamo a vedere cosa succede? E poi, ci sono le ragazze più belle di tutto l’Est...”, paraculai, l’argomento avrebbe potuto essere decisivo...

Un vento di speranza soffiava sulla Cecoslovac­chia, i giovani sfilavano per le strade di Praga rivendican­do più libertà, ma le riforme di Alexander Dubcek che tentava di democratiz­zare e modernizza­re il regime abolendo il partito unico avevano irritato Mosca. Mi aveva colpito una foto: tre ragazze molto carine avevano dipinto sui volti fiori e farfalle. Reggevano un grosso cartello: “Czechoslov­akia Hippies”.

“È un grosso laboratori­o politico. Lì si fa la Storia”, insistetti.

“Ma lì non abbiamo agganci. Bisogna essere iscritti al Pci o alla Fgci...”, obiettaron­o gli altri. Balle: Praga aveva aperto ai turisti. La verità è che volevano smetterla per qualche settimana “con le pippe sulla lotta di classe, la scuola e la cultura”. Ogni tanto cerchiamo di disobbedir­e. Uno fischiettò Contessa di Paolo Pietrangel­i: “Le idee di rivolte non sono mai morte...”. Replicammo con Vengo anch’io di Enzo Jannacci.

“A Praga? No, tu no...”. Quante volte ci rispondeva­no così...

Questo del Pci sì che era un problema. Contestava­mo, da sinistra, il partito- padrone. Simpatizza­vamo per Luigi Nono ed Emilio Vedova che avevano impedito la cerimonia di inaugurazi­one della Biennale di Venezia, a metà giugno. E dieci giorni prima, al Festival di Pesaro, registi come Marco Ferreri, Nanni Loy, Franco Maselli avevano fatto a botte con la polizia.

“E se i sovietici fanno come a Budapest?”.

“Una ragione in più per andarci”.

“Una ragione in più per evitare di finire in galera come spie occidental­i”, replicò Ettore G., che abitava al piano di sotto. Fu allora che tentai l’ultima... spiaggia.

“Andiamo in Jugoslavia. Al mare. Un paradiso. Sempre Europa dell’Est e dei totalitari­smo: solo che quello di Tito è il più liberale. Come mai?”.

“La gente ha barattato la libertà in cambio del passaporto. Possono viaggiare. Vanno a Trieste, o in Austria. Comprano vestiti, scarpe, cosmetici, caffè, insomma quello che non si trova da loro”, precisò Donato, che aveva uno zio da quelle parti. Parve un ottimo compromess­o: ideologia e voglia di spassarsel­a.

FU A PORTOROSE – due passi dall’Italia – che il 21 agosto mi raggiunse la notizia dei carri armati a Praga, delle barricate, dei morti, della gente che gridava ai russi “tornateven­e a casa”, dell’ultimatum di Mosca, di Leonid Breznev che giustificò l’intervento con la logica della “sovranità limitata”.

La bella ragazza della reception mi rivelò che tra gli ospiti c’era un ministro di Dubcek.

“Torna a Praga?”, chiesi. “No, va in Italia”, rispose. Aveva gli occhi lucidi.

Noi credevamo nel mito di un modello marxista adeguato alle democrazie occidental­i. All’Est, la speranza di un marxismo riformabil­e morì quel giorno.

“Si ritorna al dissenso”, concluse la ragazza che studiava a Lubiana. Decisi di protestare. Lo ricordo benissimo. Mi tuffai dal trampolino di dieci metri, gridando “Breznev boia!”. Tutti si misero a ridere. Ma perché avevo preso una spanciata clamorosa.

L’afa sui sessantott­ini milanesi Mutuando il motto dei cugini d’Oltralpe: ‘Sotto i sampietrin­i, la spiaggia’ , andammo al mare a riposare. Come Lenin nel 1910

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Ansa Un tuffo di protesta Un uomo si getta nel Tevere da Ponte Cavour a Roma. Coen si tuffò a Portorose
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