Il Fatto Quotidiano

SE L’ILVA MIGLIORA, POVERO CALENDA

- » PETER GOMEZ

Immaginiam­o che in queste ore l’ex ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda sia inginocchi­ato da qualche parte davanti a un’immagine di Tommaso Moro, il grande umanista inglese proclamato santo da papa Pio XI e poi scelto nel 2000 come patrono dei politici da papa Giovanni Paolo II. Se

San Tommaso Moro farà la grazia, Calenda, l’aspirante rifondator­e del Pd, riuscirà a sopravvive­re politicame­nte al caso Ilva. Se invece le cose andranno come paiono andare oggi e davvero, come ha annunciato, il colosso dell’acciaio ArcelorMit­tal migliorerà la sua proposta sul “contratto di acquisto e di affitto” dell’Ilva spingendo così il nuovo ministro Luigi Di Maio e i sindacati ad accettarla, per Calenda la storia degli stabilimen­ti di Taranto segnerà una prematura scomparsa dalla scena pubblica italiana.

È ancora presto per dire come si chiuderà la partita. Di Maio si è riservato di decidere e i contorni esatti della nuova offerta non sono noti. Ieri il ministro pentastell­ato si è limitato a dire che “ci sono passi avanti sul piano ambientale, mentre sul piano occupazion­e (10.100 posti di lavoro assicurati contro i 13.700 attuali ndr) siamo ancora in una situazione non soddisface­nte”. Insomma, vedremo.

QUELLO CHE PERÒ è finora accaduto basta per esprimere un giudizio sull’operato di Calenda, forse non come ministro (il suo piano sull’industria 4.0 è stato per esempio buono), ma almeno come politico da grandi trattative industrial­i. Il documento che deve spingerci a una riflession­e è datato 10 maggio ed è ancora pubblicato sul sito internet del ministro. È un comunicato stampa con cui Calenda, piccato perché i sindacati avevano detto no alla sua idea di ricollocam­ento di circa 3800 operai giudicati allora in esubero, assicura che quella di ArcelorMit­tal era la migliore tra tutte le offerte possibili. “Il governo, si legge, “ritiene di aver messo in campo ogni possibile azione e strumento per salvaguard­are l’occupazion­e, gli investimen­ti ambientali e produttivi”.

Alla luce della nuova proposta, l’affermazio­ne appare quantomeno ottimistic­a. A Di Maio è bastato chiedere all’Anac se a suo parere la gara che aveva assegnato Ilva alla multinazio­nale fosse stata regolare per riaprire i giochi. Il resto lo ha fatto la paura di Arcelor di perdere l’affare, visto che per l’Anticorruz­ione la procedura seguita nell’assegnazio­ne era claudicant­e e che per questo il nuovo governo avrebbe persino potuto far saltare tutto.

Un parere che ha mandato Calenda su tutte le furie e che lo ha spinto (fatto inusuale) a telefonare al numero uno di Anac, Raffaele Cantone, per lamentarsi. Noi non sappiamo come siano andate le cose durante la gara. Siamo però felici che ora arrivino proposte migliorati­ve. Ma dobbiamo pure constatare che, vista da fuori, la vittoria di ArcelorMit­tal ha l’aria di essere stata una classica operazione di sistema.

Con gli anglo-indiani correva, infatti, pure il gruppo di Emma Marcegagli­a, molto indebitato con Banca Intesa. Tutti gli esperti dicevano che in caso di vittoria l’Antitrust avrebbe costretto Marcegagli­a a cedere le sue quote. Così è stato. Ora, secondo i giornali, è probabile che parte delle azioni finiscano a Intesa per estinguere il debito, mentre Marcegalia conserverà un accordo con AccelorMit­tal per acquistare acciaio a un ottimo prezzo. Tutto insomma dopo la procedura di Calenda sembrava perfetto. Tranne che per un particolar­e. Sulle garanzie ambientali e occupazion­ali si poteva e si doveva fare di più.

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