Il Fatto Quotidiano

Lo chef che si fa il TripAdviso­r: “E niente ragù”

Filippo Venturi, il ristorator­e-scrittore

- » SILVIA D’ONGHIA

TOUR, 19ESIMA TAPPA A ROGLIC

Lo sloveno si è imposto in solitaria ieri nella Lourdes-Laruns di 200 km con 19’’ di vantaggio sulla maglia gialla, il gallese Geraint Thomas (Sky) che ha vinto uno sprint ristretto tra sette corridori. Nella classifica generale Thomas ha consolidat­o la sua leadership; secondo Dumoulin e terzo Roglic altro giorno un cliente mi ha chiesto le coscette di coniglio. Solo quelle di sinistra, però. Forse aveva idee politiche precise”. Parlando con Filippo Venturi non capisci se è un ristorator­e, uno scrittore o un comico. E per quanto si possa e si debba “fare la tara” rispetto a ciò che racconta (“Non potrei descrivere per filo e per segno i miei clienti, diciamo che è più un esercizio letterario”, anche perché tornerebbe­ro a cercarlo), i suoi ritratti sono la giusta vendetta per le recensioni moleste di TripAdviso­r.

Avvocato mancato, titolare di un ristorante bolognese doc da vent’anni, Venturi ha esordito nella scrittura nel 2010, quando la casa editrice Pendragon ha pubblicato i suoi racconti sulla Bologna degli anni Ottanta, Inta nto Dustin Hoffman non fa più un film, chiaro richiamo al primo album di Luca Carboni. Da allora, ha scritto altri due romanzi, è titolare di una rubrica su Repubblica in cui recensisce i clienti ed è da qualche giorno in libreria con Il tortellino muore nel brodo, un ironico thriller che divaga tra le tagliatell­e e le colline attorno al capoluogo emiliano. Protagonis­ta è Emilio Zucchini, un ristorator­e con il fiuto da detective che si trova a indagare su una strana, doppia rapina e sulla sparizione della figlia del suo migliore amico.

Venturi, è lei Zucchini?

Ha un percorso molto simile al mio: è laureato in Giurisprud­enza, ma non ha avuto forza, coraggio e voglia di proseguire. Come me, voleva fare qualcosa di più originale. E lo dico perché vent’anni fa a Bologna mica era comune aprire un ristorante... Adesso, mi passi la battuta, la ristorazio­ne è diventata quella che un tempo era Scienze politiche. Emilio ha come me questa passione per la cucina bolognese che gli è stata tramandata dalla nonna. Ma, a differenza mia, non ha avuto la fortuna di farsi una famiglia, è bravo ai fornelli e soprattutt­o sa ascoltare. Quasi quasi sono io che vorrei essere lui.

Il celebre Pellegrino Artusi è stato il protagonis­ta di un romanzo di Marco Malvaldi, che ha al suo attivo anche la serie delBarLume. Si è ispirato a lui?

Leggevo Malvaldi ancor prima di iniziare a scrivere. È un onore questa citazione. Però c’è una differenza: io sono un ristorator­e davvero, faccio questa profession­e e la farò per sempre. Però magari anche quella di Zucchini, se il pubblico la amerà, diventerà una saga.

Sullo sfondo di ogni suo scritto, c’è Bologna. Com’è cambiata la città dagli anni Ottanta a oggi? È cambiato il mondo intero. Siamo di fronte a una nuova fase, sociale prima che politica. E ovviamente Bologna recepisce il cambiament­o. Quando ero bambino era un grande paesone, oggi è una piccola metropoli, con tutti i suoi problemi. Rimangono le radici ben piantate nella tradizione: è una città aperta, solidale, accoglient­e. Non vorrei, però, che assorbisse le paure che stano girando, che diventasse razzista. E poi rimane la radice per eccellenza: la cucina. La sfida è mantenere viva la tradizione.

La cucina è degli chef o dei cuochi?

Oggi è tutto sofisticat­o, si getta fumo negli occhi sui nomi delle pietanze. Sono contento che, grazie a Masterchef e agl i a l t r i p r ogrammi televisivi, ci sia grande attenzione verso la mia profession­e, ma è fastidioso che si sentano chef anche coloro che al massimo hanno cotto un uovo alla coque. Sei alla mercé di un cliente che ne sa un po’meno di te.

E da qui il suo TripAdviso­r al contrario... In questo clima da onniscienz­a culinaria da format tv, a me piace confrontar­mi con i clienti, soprattutt­o se c’è rispetto reciproco.

A Roma c’è stato il caso di un cameriere che ha insultato una coppia omosessual­e su uno scontrino.

Da me non sarebbe neanche stato assunto. Detto questo, se un mio collaborat­ore sbaglia, la colpa è mia.

Il suo Zucchini sostiene di saperli classifica­re non appena varcano la soglia del ristorante.

È fondamenta­le riconoscer­e i clienti, capire chi hai davanti e comportart­i di conseguenz­a. C’è quello che vuole essere lasciato perdere, quello che cerca la confidenza, quello che ha fretta o quello cui devi dare del lei. Fermo restando che nel piatto ci deve essere lo stesso amore, che tu stia servendo un notaio, una rockstar o un operaio.

Le richieste più strambe che le sono capitate?

Un signore mi ha chiesto se facevamo l’uovo fritto nell’olio del filetto. Dopo aver raccontato questo episodio, che mi sembrava curioso, sono stato costretto a scusarmi perché c’è davvero un posto vicino Bologna dove lo fanno.

E gli stranieri?

L’altro giorno sono venuti cinque cinesi, avevano in mano un cono gelato enorme e si

Chi è Filippo Venturi nasce a Bologna nel ‘72. Gestisce una trattoria in centro

La carriera Ha esordito nel 2010 con una raccolta di racconti, “Intanto Dustin Hoffman non fa più un film”. Dopo due romanzi (“Forse in Paradiso incontro John Belushi” e “Un giorno come un altro”, è ora in libreria con “Il tortellino muore nel brodo”

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