Dagli Amici di Maria a Prodi e Gramsci: l’altra vita di Errico
È stato il “caso zero” di Maria De Filippi, il primo talent-uoso uscito dalla scuderia di Amici (allora proto-Amici: solo chiacchiere, zero musica) negli anni Novanta, “la prima scoperta forse, non del tutto volontaria, di Maria, che mi fece quasi da seconda madre. Con lei avevo una specie di rapporto filiale”, racconta og- gi Alessandro Errico, 44 anni e una vita professionale cangiante, che l’ha visto prima cantante, poi insegnante, poi operatore di call center, capoufficio stampa, impiegato e quant’altro.
CIONONOSTANTE l’artista romano non ha mai smesso di sentirsi tale: “Non ho mai del tutto abbandonato il mondo della musica, pur avendo una vita – diciamo così – normale: due bambine e una routine che va avanti a prescindere dall’esposizione mediatica. E di cose ne ho fatte parecchie: dopo il mio secondo disco ( Esiste
che, del 1997) ho deciso di mollare tutto e ritirarmi in un eremo per quasi un anno, facendo incazzare tutti”, la sua produttrice, Caterina Caselli, in primis. Rientrato in sé, e nel mondo civile, si è “iscritto all’università, ho firmato un progetto musicale con Gianni Maroccolo e Riccardo Tesio dei Marlene Kuntz, ho lavorato a un disco cantautorale e tanto altro”.
Ma torniamo agli albori, e agli allori: dopo Amici, Errico nel 1996 passò a Sanremo, salendo per la prima volta sul palco dell’Ariston, nella categoria “Giovani”, con Il grido
del silenzio: pur non ottenendo una buona posizione, la canzone riscosse un inaspettato successo commerciale, spingendo l’album, Il mondo dentro
me, verso le 100 mila copie e la chiara fama. L’anno successivo, infatti, Errico si ripresentò al Festival con E penserò al tuo viso, tratto dal secondo cd E
siste che, sempre prodotto dalla Sugar della Caselli. Ironia della sorte, quello fu l’anno della vittoria dei Jalisse, altre sfortunate meteore musicali.
“Più che una meteora – di fatto non ho avuto il tempo di diventarlo – mi piacerebbe essere un meteorite: oggi si di- venta una meteora a una velocità quasi imbarazzante; il mercato è impazzito, brucia qualsiasi proposta nell’arco di una stagione, una stagione reale, come l’estate o l’inverno. Quando vedo in tv artisti coinvolti in un certo tipo di trasmissioni mi prende la tristezza. È un tritatutto: ci si ributta dentro per starci il tempo di un battito di ciglia, ma non credo che sia quello il modo per tornare a dire qualcosa”.
Poi, certo, “esistono ancora musicisti di qualità che girano il mondo e hanno visibilità e fama a prescindere dallo show business: Damien Rice, ad esempio. E soprattutto c’è una marea di gente che ha fame di musica vera: forse definirla di qualità è fuorviante, ma mi riferisco a quel tipo di musica che suscita vibrazioni, emozioni inedite... Io, nel mio piccolo, spero di essere da questa parte, piuttosto che presenziare 24 ore su 24 sui canali
mainstream , pur rimanendo di fatto invisibile”.
IL RITORNO sulle scene di Errico è datato 2005, dieci anni dopo il debutto, col gruppo SoneTsenZ (Mauro Di Donato, Marcello Ravesi, Cristiano Urbani, Enrico Rossetti e Paolo Lucini): l’album, coprodotto dai succitati Maroccolo e Tesio, vanta la partecipazione di Edoardo Sanguineti, ma è rimasto inedito, a parte alcune tracce pubblicate su Myspace.
Nel 2013 esce il singolo Mai e
poi mai, preceduto da una lettera per l’allora presidente della Repubblica – con annesso flashmob davanti al Quirinale – dal titolo: Il mio paese mi
fa mobbing, diventato brano e video assieme ai 3Cellos. L’ultimo pezzo, infine, è del 2015:
Eppure ti dico ciao (La guerra di Piero).
“Lo spazio si trova sempre, se si ha qualcosa da dire o da comunicare, senza ridursi a riproporre la stessa frittata di vent’anni fa. Per carità, la mia non è una critica: se uno non ha alternative lo capisco, ma a me personalmente mette un po’ tristezza, non fa proprio parte del mio dna; altrimenti me ne starei tutto il giorno su Facebook a promuovere me stesso, a espormi. Al contrario, sono asocial, non frequento i social network: preferisco vivere”. Per campare, però, la musica (sporadica) non basta: “Come si fa? In questi anni ho fatto un po’ di tutto, dai call center notturni – due anni molto duri ma formativi – a lavori più importanti. Sono stato anche vicecapoufficio stampa per Prodi. Poi ricordo ancora con grande piacere gli anni in università: dopo la laurea, per un periodo ho insegnato. Lavori estranei alla musica ne faccio tuttora, dovendo crescere due figlie: d’altronde, una scelta come quella che ho fatto tempo fa – cioè portare avanti i miei progetti in maniera indipendente, del tutto svincolata dal mercato – comporta una forte assunzione di responsabilità. E rischi. Dovunque sto, va bene”.
IL SUO OBIETTIVO, per ora, è quello di “mangiare e portare a casa la pagnotta: vivere e portare avanti le cose che amo. Quando mi dicono che la musica è un dono un po’ mi incazzo, perché sì, è un dono, ma anche una condanna: per me è soprattutto un linguaggio, forse l’unico che conosco, l’unico almeno con cui riesco a interfacciarmi col mondo. Non ci si libera della propria lingua, quasi come da una malattia. Poi è vero che è anche un mestiere: per cui capisco chi mette a disposizione il proprio bagaglio tecnico, vocale o strumentale, insegnando ad altri”.
Errico attualmente lavora in uno studio di avvocati, in ambito “paralegal”, direbbero i businessmen; viceversa, non ha mai voluto spendersi in ambito para-musicale, riciclandosi come insegnante, ad esempio: “Non sono un bravo maestro. Quantomeno, ho insegnato altro: all’Università di Roma Tre tenevo un corso su Gramsci, che evidentemente non c’entra nulla con la musica. Poi, come tanti, me ne sono andato una volta esaurita la borsa di studio: i fondi per la ricerca sono pochissimi”. Ma questa, si sa, è tutta un’altra musica.
Terza puntata dedicata ai musicisti dimenticati Oggi l’artista romano lavora in uno studio legale, ma continua a coltivare il sogno di scrivere, cantare e produrre brani e dischi in modo indipendente Chi si accontenta gode Dovendo crescere due figlie, ho fatto un po’ di tutto, dai call center notturni all’ufficio stampa politico, al ricercatore universitario