Il Fatto Quotidiano

Far fare sport ai bambini è un salasso

- » ELISABETTA AMBROSI

Fosse la retta, 600 euro all’anno, sarebbe uno scherzo. Ma poi, scarpini a parte, c’è l’acquisto del kit, tute e completini e pure il giaccone, con un costo che può arrivare fino a 200 euro. Ma il peggio, economicam­ente parlando, sono i tornei. “Si paga per vederli giocare fuori casa, poi quando si va fuori regione ci sono i pranzi, le cene, la benzina. Un salasso”, dice Francesca, mamma di un teenager.

“Noi genitori compriamo tute di almeno una misura più grande per farle durare due anni”. Insomma, altro che due tiri a un pallone, oggi avere un figlio che gioca a calcio, sport nazionale, significa spendere anche uno stipendio all’anno. Non cambia molto, però, per gli altri sport, come il nuoto: 750 euro l’anno per un corso classico in una polisporti­va federale (dove magari si paga anche il gettone del phon). Un anno di scherma, invece, costa “solo” 600 euro, ma poi “per l’attrezzatu­ra – m aschera, spada, divisa e guanto – si parte dai 300 euro”, dice Veronica, una mamma di Milano. Ma la palma degli sport più esosi va senz’altro all’equitazion­e, “100 euro al mese per una volta a settimana, più 150 di iscrizione più 17 di patentino, più 80 di kit ma senza stivali, quelli però li abbiamo presi da Decathlon”, dice un papà.

ANCHE IL TENNIS non scherza, specie se diventa pre-agonistico: “2.200 euro all’anno per tre volte a settimana”, spiega una mamma di Roma. E poi c’è la “mazzata” dei saggi, per i quali si può arrivare persino a 400 euro. Di tutte queste spese – a cui vanno aggiunte l’iscrizione, il certificat­o medico che il medico di base si fa pagare, la visita per l’elettrocar­diogramma – lo Stato ti consente di scaricare il 19% di 210 euro, in pratica 40 euro e solo a partire dai 5 anni. Una goccia nel mare.

Eppure i genitori di oggi, ma anche chi ha qualche anno in più, non ricordano che lo sport fosse né così costoso – specie l’agonismo – né così faticoso per i genitori, che impazzisco­no per accompagna­re i figli ad allenament­i e gare. “Da piccolo”, dice Francesco, di Modena, “giocavo a pallone nella stradina dietro casa, alle medie andavo da solo in bicicletta allo stadio, mai che i miei mi abbiano accompagna­to”. “Dalla quinta elementare alla terza ho fatto scuola tennis, ma non esiste- vano né kit da comprare né tornei da disputare”, racconta invece Claudio. “Negli anni ’80 per giocare a pallavolo agonistica pagavo 10.000 lire alla squadra, non molto”, dice Francesco, di Roma.

Ma allora cos’è cambiato? Ci dà una mano a capire Paolo, giovane allenatore di una grossa società calcistica romana: “Venti anni fa nel settore agonistico non si pagava, le Federazion­i davano più fondi. Oggi invece non solo questi fondi non ci sono, ma aumentano i costi di iscrizione ai campionati e quelli di gestione delle strutture, basti pensare che fare un campo di calcio regolament­are costa circa 130.000 euro. E nessuno aiuto viene dalla politica, né tantomeno dai Comuni, tranne rari casi e in genere sempre per l’organizzaz­ione di manifestaz­ioni. Così i costi si riversano sulle famiglie”.

Nonostante le agevolazio­ni a livello fiscale, le Asd, Associazio­ni sportive dilettanti­stiche, vivono in una situazione di grande sofferenza, specie nel garantire il settore agonistico, il più costoso. Un problema è anche il ruolo del Coni, che ha annunciato fin da subito un controllo sui costi e sugli sprechi. I fondi dello Stato – 440 milioni – finiscono quasi tutti negli stipendi e poi alle 42 Federazion­i. Ma alle singole società ovviamente arrivano briciole.

COSÌ OGGI, dallo sport, divenuto un’opzione per soli ricchi, restano fuori i bambini poveri o a rischio povertà (1 su 3 secondo l’ultimo il rapporto di Save The Children). “Noi abbiamo provato per due anni ad allenare gratis bambini con disagi familiari o senza soldi – continua sempre Paolo – ma alla fine, senza aiuti, ci siamo arresi. La Federazion­e è presente solo quando esige il pagamento del cartellino, una follia di 23 euro a bambino: consideri che solo a Roma ci sono tra i 50.000 e i 60.000 bambini iscritti, si tratta di oltre un milione di euro”. Emblematic­a delle difficoltà di quelle associazio­ni sportive che cercano di togliere i ragazzi dalla strada è la vicenda del judoka Giovanni Maddaloni, padre del campione olimpico Pino, che da aprile sta chiedendo aiuto al Comune di Napoli perché la sua palestra rischia di chiudere.

Riesce invece ancora a lavorare la nota associazio­ne sportiva romana Mezzaroma. “Valutiamo le singole situazioni economiche, i nostri abbonament­i hanno prezzi sociali”, dice la dirigente Loredana Margheriti. “Come riusciamo? Primo, perché i dirigenti non incassano nulla, è puro volontaria­to, secondo perché siamo riusciti a vincere bandi provincial­i per l’uso di strutture pubbliche”. Casi rari a parte, però, lo sport infantile ha preso ormai chiarament­e la strada del business. “Se solo i ricchi fanno sport, poi chi ci mandiamo alle Olimpiadi? – spiega ancora Mastrostef­ano – Ci sono stati i mondiali di calcio senza Italia. In futuro sarà la normalità”.

LA CRISI NON È FINITA Secondo l’ultimo rapporto di Save the Children sarebbero 1 su 3 i minori senza possibilit­à economiche

UN SISTEMA CHE NON FUNZIONA I finanziame­nti dello Stato (440 milioni) finiscono tutti in stipendi e alle Federazion­i, solo briciole alle società

Negli anni Ottanta per giocare a pallavolo, a livello agonistico, pagavo appena 10 mila lire di iscrizione alla mia squadra

Ormai noi genitori compriamo le tute di una misura più grande per farle durare almeno due anni

 ?? Ansa ?? Bracciate in corsia Ragazzini impegnati in una scuola di nuoto
Ansa Bracciate in corsia Ragazzini impegnati in una scuola di nuoto

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy