Invece non è così, la tetta al vento è di nuovo simbolo militante
In Europa Femen e Pussy Riot, negli Usa la campagna Free The Nipple (libera il capezzolo), un po’ ovunque i sit-in di allattamento in pubblico per protestare contro custodi di musei ostili alle mamme nutrici: la tetta al vento è di nuovo un simbolo di militanza, come ai tempi del femminismo, quando sembrava che il “pezzo sopra” fosse destinato alla soffitta insieme al busto e al reggicalze. Non è stato così: già a metà degli ’80 non solo il top non era sparito, ma erano tornati anche busto e reggicalze, destando il sospetto che oltre a Big Pharma esista anche Big Bra, un cartello di multinazionali dell’intimo che condiziona occultamente il senso del pudore a fini di lucro, anche se attualmente l’intimo non serve tanto a coprire la natura quanto a incorniciare la perizia del chirurgo estetico. E non a beneficio di un partner o dei lumaconi da spiaggia, ma dei followers su Instagram, vedi Kardashian, Ratajkowski e via selfando. Ah, che nostalgie delle estati in cui Novella 2000 paparazzava topless vip in Costa Azzurra o sugli yacht, e i pretori bigotti si appostavano fra i cespugli in spiaggia per arrestare in flagrante le turiste che si denudavano. Mostrando senza paura un seno più o meno imperfetto, senza essersi fatte preventivamente installare un push-up sottopelle, come fanno le Instagrammer.
IL TOPLESSche fa scandalo oggi è quello bio, con le sue pecche e asimmetrie, la tetta che balla, allatta, “sente” il ciclo, invecchia, insomma, vive. È quello il seno che sarebbe bello rivedere sulle spiagge, e non solo in quelle naturiste, emblema di una femminilità – o meglio, di un’umanità, visto che le mammelle qualificano gli esseri umani come classe zoologica – estroversa ma pacifica, sensibile, accogliente e ludica al tempo stesso. E invece sotto l’ombrellone impazza il lato B, protrudente anche dai bikini da sciura. È la versione estiva del populismo: il pop-culismo.