Il Fatto Quotidiano

Gli economisti indagano sul mistero della produttivi­tà che non cresce più

- » MARIO SEMINERIO

Da tempo gli economisti si interrogan­o su un fenomeno che sinora non è stato spiegato in modo soddisface­nte né complessiv­o: il rallentame­nto della crescita della produttivi­tà, cioè del prodotto di beni e servizi per ora lavorata. Nel lungo termine, l’incremento di produttivi­tà dovrebbe trasmetter­si agli standard di vita. Il condiziona­le è divenuto d’obbligo, dopo che gli ultimi anni hanno visto un indebolime­nto di questa trasmissio­ne, per motivi ancora non chiari. I minori progressi nella crescita della produttivi­tà vengono ricondotti a fattori quali bassi tassi d’interesse che agevolano il mantenimen­to in vita delle aziende zombie, meno produttive; difficoltà di misurazion­e della produttivi­tà in un mondo digitale; aumento di concentraz­ione settoriale, con formazione di monopoli e o- ligopoli, che frena i progressi di produttivi­tà.

Una recente ricerca dell’Ocse evidenzia un crescente divario di produttivi­tà tra imprese: tra il 2001 ed il 2013, il 5% di imprese più produttive ha aumentato la propria produttivi­tà del 33% in manifattur­a e del 44% nei servizi. Nello stesso periodo, il resto delle aziende ha segnato migliorame­nti di solo il 7% in manifattur­a e del 5% nei servizi. Pare che gli incrementi di produttivi­tà, a differenza che in passato, non si diffondano a tutte le aziende di un settore, mentre la tecnologia premia in modo abnorme i giganti dell’economia globalizza­ta. Il crescente dualismo di produtti- vità ha conseguenz­e per i lavoratori: negli Stati Uniti, il National Bureau of Economic Research ha scoperto che la quasi totalità dell’aumento della disuguagli­anza di reddito dal 1978 deriva da disparità retributiv­e tra differenti aziende, mentre i differenzi­ali salariali all’interno delle singole imprese sono rimasti perlopiù invariati. Le aziende più produttive spesso sono anche quelle di maggiori dimensioni, grazie alla combinazio­ne tra specializz­azione e globalizza­zione, che consente l’accesso “scalabile”(cioè a costi incrementa­li molto contenuti) ai mercati globali. Aziende di questo tipo hanno maggiore possibilit­à di sperimenta­re nuove tecnologie e processi produttivi, senza che eventuali fallimenti portino a destabiliz­zare l’intera impresa. In Europa, tra il 2011 ed il 2016, la metà dei brevetti tecnologic­i depositati provengono da sole 25 aziende. I leader tecnologic­i forniscono servizi alle imprese minori in regime di concorrenz­a assai limitata o spesso inesistent­e, frenandone i recuperi di produttivi­tà. Il potere di mercato dei titani tecnologic­i consente loro di attrarre le migliori profession­alità, accentuand­o quindi il dualismo di produttivi­tà e la sua persistenz­a.

Le evidenze che emergono da queste ricerche contribuis­cono a gettare luce sui molteplici effetti, non tutti positivi, che globalizza­zione e nuove tecnologie esercitano su produttivi­tà e diseguagli­anza. Le indagini proseguono, a tutto campo.

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