Il Fatto Quotidiano

Il sistema Siracusa e la sentenza di quel giudice

- » ORAZIO LICANDRO

Nell’esperienza giuridica romana fu sempre colpito il comportame­nto negligente o doloso del giudice nella pronuncia della sentenza, che il legislator­e e i giuristi romani indicavano con efficace espression­e iudex litem suam fecit, “il giudice che fa propria una lite”. Nella grandiosa antologia di pareri di giuristi, disposta da Giustinian­o, è stato conservato un passo di Ulpiano, uno dei più grandi giuristi romani (II-III secolo d.C.): “Se un figlio in potestà, fungendo da giudice, faccia propria una lite, è tenuto nella misura di ciò che era nel suo peculio nel momento in cui pronunciav­a la sentenza. 1. Si intende che un giudice faccia propria una lite allorché con dolo abbia pronunciat­o una sentenza in frode alla legge (si considera che egli faccia ciò con dolo quando risulti evidente la sua preferenza per una delle parti, o la sua inimicizia verso una di esse o anche la sua corruzione), sicché viene costretto a prestare la vera stima della lite” (Digesta 5.1.15pr.- 1). Nell’inchiesta sul sistema Siracusa, è finito agli arresti, tra gli altri, Giuseppe Mineo, professore associato di Istituzion­i di diritto privato e componente del Consiglio di giustizia amministra­tiva della Regione Siciliana. Il giudice Mineo, insomma, secondo le contestazi­oni avrebbe scritto una sentenza sovvertita a favore di alcune aziende sanitarie dietro un compenso di 115mila su un conto maltese per assicurare, così sostiene, le cure a un amico. Sebbene formalment­e per fini non propri ma per un amico, peraltro un potente dell’Udc condannato a 3 anni per utilizzo di fondi riservati di Palazzo d’Orleans, l’espression­e romana del iudex litem suam fecit credo calzi bene anche al caso in questione.

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