Il Fatto Quotidiano

C’è posta per i magistrati: un lembo di seno di Nadine

Quarta puntata dedicata agli omicidi di Firenze L’assassino sfida gli inquirenti con una busta anonima Dentro, sigillati nel cellophane, i resti della mattanza sulle ultime due vittime: i francesi Mauriot e Kraveichvi­li

- » DAVIDE VECCHI (4. continua)

Renzo Rontini negli anni aveva raccolto e consegnato agli inquirenti numerose piste investigat­ive. Trovare l’assassino della figlia Pia era diventato il suo unico obiettivo.

Dopo l’omicidio del 29 luglio 1984 e fino all’estate successiva Rontini aveva ricevuto molte segnalazio­ni su Giovanni Calamosca. Almeno tre persone gli avevano riferito che l’uomo possedeva una beretta calibro 22, la stessa dei delitti attribuiti al mostro di Firenze. Non solo. Altri sostenevan­o di averla vista persino sporca di sangue. E proprio a casa di Calamosca era stato arrestato nell’agosto 1982 Francesco Vinci. Ce n’era abbastanza per informare la questura. Ma le indagini non portarono a nulla.

Nel giugno 1985 il giudice Rotella interrogò ancora una volta Stefano Mele, ormai scarcerato. Mele continuava ad accusare Salvatore Vinci per il delitto della moglie del 1968. La pista sarda rimaneva il filone investigat­ivo sul quale gli inquirenti tornavano a impegnarsi ogni volta che le altre si rivelavano sbagliate. E ogni volta regalava novità, elementi importanti trascurati. Dopo l’omicidio del luglio 1984 la casa di Vinci venne perquisita e i Carabinier­i trovarono uno straccio nascosto dentro una borsetta da donna, sporco di polvere nera e con numerose macchie rosse. Il reperto fu analizzato solamente nell’estate di un anno dopo. Si accertò che le macchie erano di sangue di due gruppi distini, 0 e B, mentre la polvere era composta da residui di sparo: era stato usato per pulire una pistola. Elemento ormai inutile. Come l’analisi dei gruppi sanguigni: non fu possibile collegarli con i delitti perché non ne era stato conservato nessun campione. Un altro errore investigat­ivo. E non sarà l’ultimo.

IL PROCURATOR­E Vigna e la dottoressa Silvia Della Monica hanno pochissimi elementi certi. Sì, la pista sarda, da lì è arrivata la pistola. Ma non è stata trovata. E come finisce nelle mani del serial killer? Vinci è un violento, una persona dotata di una straordina­ria intelligen­za dicono le perizie, ma durante la sua detenzione sono stati commessi altri due delitti. Quindi non può essere il mostro. E poi i reperti, le informativ­e, le analisi della scientific­a sono chiare: i tagli per asportare le parti intime delle vittime sono stati compiuti da una mano esperta, quasi certamente un medico, un chirurgo, non certo un pastore. Ma chi?

Gli esami balistici certifican­o che l’assassino è alto più di un metro e 75 centimetri. Cosa altro sanno gli inquirenti? Poco. Ci sono i metodi di esecuzione del serial killer, che prima spara dall’esterno dell’auto sorprenden­do la coppia nell’abitacolo e poi li trascina fuori per finire la donna con colpi d’arma bianca, e i luoghi dei delitti, tutti a poca distanza da Firenze e in spiazzi all’inizio della campagna. Sulla mappa in cui con una X sono stati segnati, sono rimaste poche aree vuote. Il mostro, credono gli inquirenti, potrebbe colpire lì: forse a Nord, c’è un buco tra Fiesole e Sesto Fiorentino. Per gli inquirenti è una scommessa. L’unica speranza è aspettare che il mostro torni a colpire e arrivare presto sul luogo del delitto. Magari evitando di inquinare la scena del crimine.

Quel giorno arriva l’8 settembre 1985. Ma non verso Nord. Il killer sceglie uno spiazzo a San Casciano in Val di Pesa, a sud di Firenze. Luca Santucci, figlio di un ristorator­e, trova il cadavere di un ragazzo nascosto nel fogliame. Corre dai Carabinier­i e poi torna sul posto con gli uomini dell’Arma che poco distante dal cadavere trovano una Golf bianca parcheggia­ta e davanti una tenda con all’interno un altro cadavere, quello della donna. Le vittime sono due turisti, Nadine Mauri o te Jean-Michel Kraveichvi­li una ragazza e un ragazzo rispettiva­mente di 36 e 25 anni. Viene transennat­a la zona attorno alla tenda. Ma neanche questa volta gli sforzi degli inquirenti portano a risultati concreti. Perché la dinamica è strana.

IL MOSTRO si è avvicinato alla tenda, con il coltello ha tagliato un lato e il ragazzo è uscito per controllar­e cosa stesse accadendo. Il mostro gli ha sparato ma senza ucciderlo, lui ha tentato di scappare e si è allontanat­o seguito dal mostro che solo a decine di metri lo ha ucciso e nascosto sotto il fogliame. Poi l’assassino è tornato alla tenda e ha colpito la ragazza, che ha tentato di difendersi tanto che per la prima volta sotto le unghie della vittima vengono trovate tracce di pelle che si ritiene appartenga­no all’aggressore. Dopo averle tolto la vita, il mostro ha messo in atto l’ormai consueto macabro rituale asportando pube e seno della ragazza. Poi si è allontanat­o per un sentiero lungo i campi. Si è fermato a un abbeverato­io per animali a lavarsi del sangue e se n’è andato. Qui sono state trovate macchie di sangue, così come altri reperti importanti sono stati rinvenuti lungo il tragitto. Ma purtroppo, ancora una volta, la scena del delitto è inquinata. La polizia scientific­a individua una impronta strana in ogni punto delle fasi del delitto: dentro e fuori la tenda, nei pressi del cadavere dell’u omo, lungo il tragitto e accanto all ’ abbev eratoio. È quella del mostro? Si ipotizza. Alcuni giornali fiorentini lo riportano. Per giorni si rincorrono notizie tra il sensaziona­le e l’impossibil­e. Ma si scopre che a lasciarla è stato uno degli uomini delle forze dell’ordine accorsi sul posto. Altro tempo perso. E gli inquirenti si ritrovano ancora una volta con nulla in mano.

Sulla scrivania del magistrato Silvia Della Monica arriva una lettera inviata dal mostro due giorni dopo l’ultimo duplice omicidio. Una busta con dentro un lembo del seno della giovane Mauriot avvolto in un fazzoletto e sigillato nel cellophane. Il mostro vuole farsi trovare. E sfida gli inquirenti.

Continui errori nelle indagini La donna ha tentato di difendersi: sotto le sue unghie vengono trovate tracce di pelle. Purtroppo però la scena del delitto è inquinata

FALSI INDIZI

La scientific­a individua una strana impronta, ma è di un collega delle forze dell’ordine. Altro tempo perso

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Ap Nella campagna toscana Gli uomini della scientific­a coprono con un telo il cadavere della turista francese Nadine Mauriot
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