“Il lato umano di Escobar ci fa capire perché poi è diventato un mostro”
“Sono
il fuoco che brucia la tua pelle / sono l’acqua che ti disseta…” canta Rodrigo Amarante nella struggente Tuyo, colonna sonora della fortunatissima serie Netflix Narcos, dedicata al narcotraffico. Parole e musica che hanno fatto conoscere il cantautore e musicista brasiliano in tutto il mondo. Una canzone diventata tutt’uno con le immagini che hanno raccontato l’epopea criminale di Pablo Escobar, interpretato dall’attore brasiliano, Wagner Moura.
Rodrigo Amarante è venuto in Italia per una serie di con- certi, tra cui il Locus Festival di Locorotondo, dove si è presentato vestito interamente di bianco con la sua chitarra, bianca, del 1920. E per più di un’ora ha incantato il pubblico pugliese con le canzoni di Cavalo, il disco d’esordio solista uscito nel 2013, e i successi dei suoi gruppi storici: Los Hermanos, Little Joy e l’Orquestra Imperial.
A breve uscirà la quarta stagione di Narcos, cosa pensa della serie? Penso sia utile, le più grandi storie sui “mostri” mirano a u- manizzarli, in modo da mostrarci quello che è dentro di noi. Sebbene Pablo Escobar fosse un mostro terribile, lo scopo di quella storia dovrebbe essere quello di non separare mai noi stessi da lui, ma provare a comprendere cosa abbiamo fatto per produrre quel mostro.
Ma “umanizzandolo” non crede si rischi di mitizzare ancora di più la sua figura?
Sì, potrebbe accadere che raccontandolo si celebri il gangster. Io ho provato con la mia canzone a dare a questo mostro un cuore. Faccio un esempio: Donald Trump è una persona orribile. Ma gli Stati Uniti devono capire che Donald Trump è il risultato della loro cultura; quindi lo dobbiamo vedere come uno dei nostri figli. Quale cultura produce un bambino del genere? È a questo che dovremmo pensare e sentirne la responsabilità. La missione è guardare al futuro, porre il focus sui bambini di oggi.
Ha scritto Tuyopensando a una canzone che la madre di Pablo avrebbe potuto ascoltare quando Pablo era bambino. M’interessava tornare indietro, per vedere Pablo bambino, per capire cosa l’ha portato ad essere Escobar, cosa è accaduto nel suo cuore. E quindi l’ho avvicinato a noi, mi sono caricato della responsabilità di Pablo.
In che senso?
Credo che Pablo volesse diventare l’uomo che sua madre voleva che fosse, voleva diventare l’uomo “di sua madre”. E sua madre era una persona dura, diceva a Pablo, secondo me: “Non credere a nessuno. Non ti fidare di nessuno. Prenditi ciò che vuoi”. Quindi, io ho dato a lei la responsabilità, e in quel senso, l’ho data a tutti noi laddove cresciamo i nostri figli, in qualità di famiglia e di Stato.
Era già stato in Italia?
Sono venuto poche volte e una volta ho guidato da Milano a Napoli, mangiando e ingrassando moltissimo ( ride indicando la pancia, ndr), e provando a imparare un po’ di italiano.
Qual è la città italiana che preferisce e perché?
Potrebbe sembrare che io voglia compiacerla, ma Napoli è la mia preferita. Forse perché la mia famiglia proviene dal sud Italia, mia nonna napoletana e mio nonno siciliano, e quando sono stato a Napoli ho potuto sentire il senso di umanità, nei modi, nella parlata, nel cibo.
Qual è il suo piatto italiano preferito?
Mi piace mangiare le specialità della tradizione di ciascun posto in cui vado.
Che tipo di musica ascolta? Tutti i tipi. Mi piace molto la musica d’annata, folk, africana, latina, mediorientale. Mi piace la musica che c’era prima dei cambiamenti globali, perché in quella posso assaporare gli accenti, i ritmi, le melodie, le loro espressioni originali.
Se dovesse descriversi con tre parole, quali sceglierebbe? “Singer pretending to write”, un cantante che fa finta di scrivere.