Il Fatto Quotidiano

Fuori Warhol, dentro i neri: a Baltimora il #MeToo dell’arte

MARKETING Il direttore di una delle principali gallerie Usa mette all’asta alcune opere dei “grandi” per poter acquisire lavori di artisti contempora­nei “discrimina­ti”

- » ANGELO MOLICA FRANCO

Quando il 1° dicembre 1955 nella città di Mo ntg omer y, Rosa Parks non cedette il proprio posto sull’autobus non sapeva di fare la Storia, era solo una donna di colore che si ribellava a un uomo bianco che le ordinava di alzarsi e, più in generale, a un sistema razzista che le imponeva l’idea che la sua vita non fosse importante. Allo stesso modo, quando nel maggio di quest ’ anno Christophe­r Bedford, il direttore del Baltimore Museum of Art, decide di vendere opere di artisti come Warhol, Rauschenbe­rg o Kline per acquisire opere di artisti neri e artiste donne non sa se farà o meno la Storia, ma spera certamente di riappacifi­carsi con essa e risanare ai Suoi errori.

“L’INTENTO de l l’op e ra zi one” spiega infatti Bedford, “è dimostrare che il racconto della nostra collezione è incompleto perché si basa sui principi dell’esclusione”. Ma più in generale, sono i criteri vigenti nel mondo dell’arte globale a essere limitanti, sostiene il direttore del BMA, poiché “hanno istituzion­alizzato il razzismo e la discrimina­zione di genere all’interno dei musei e condiziona­to l’approccio di tutti alla storia dell’arte”. Rosa Parks ven- ne arrestata e di lì divenne un’icona, mentre su Bedford – che aspira solo a essere d’esempio – sono piovute accuse di eccessivo sfruttamen­to del “deaccessio­ning” (la pratica di vendita di opere appartenen­ti alle proprie collezioni permanenti legalmente concessa ai musei americani, a patto che tutti i ricavi vengano investiti nuovamente nella collezione). Alla celebre Sotheby’s di New York, vengono vendute all’asta sette opere per una cifra che oltre- passa i 10.000.000 di dollari: si tratta di Oxidation Painting– che da solo è stato venduto a ben 3.375.000 dollari –e Hearts di Andy Warhol, Bank Job di Robert Rauschenbe­rg, Green Cross, dell’espression­ista astratto Franz Kline, Lapis Lazuli e In-Vital di Kenneth Noland e Before Darkness II di Jules Olitski.

“Ci troviamo in un precipitat­o storico in cui i più impor- tanti artisti contempora­nei sono di colore”, commenta sempre Bedford. Ne ha piena consapevol­ezza nella sua veste di direttore di un museo civico di una città in cui il 64% della popolazion­e è nera.

A fine giugno, dunque, grazie ai proventi, il BMA ha annunciato l’acquisizio­ne di 23 nuove opere, tra cui spiccano per rilievo la video-installazi­one Baltimore di Isaac Julien (1960), film-maker ingle- se di colore che si interroga da sempre sulla rappresent­azione dei neri nella cultura visiva, Water Woman, una scultura in bronzo dell’artista keniana Wangechi Mutu raffiguran­te una sirenetta nera che ben testimonia il crossing tra immaginari­o letterario nordico e tradizione africana; e ancora 9.11.01 di Jack Whitten, anch’egli afroameric­ano, un dipinto-murales di affabulant­e ferocia che fonde realtà e spirito in ricordo degli avveniment­i dell’11 settembre, Planes, rockets, and the spaces in between della pittrice Amy Sherald, diventata famosa per il ritratto della ex first lady Michelle Obama che ha avviato un proficuo dibattito pubblico sui codici di rappresent­azione dei neri americani nella tradizione iconografi­ca; ma anche Untitled ( Buoy) di Mark Bradford, indiscussa star del padiglione americano all’ultima Biennale di Venezia, due scatti della fotografa sudafrican­a Zanele Muholi, una tela della nigeriana Njideka Akunyili Crosby; e per finire opere di artisti cinesi e giapponesi come Noh Suntag, Yoshihiro Tatsuki, Kenji Nakahashi, Wang Qingsong e Toshio Saeki.

CERTO IL DIRETTORE del BMA non è lo scopritore del melting-pot socio-culturale, ma prima di altri ha l’intelligen­za e l’onestà di ammettere i limiti del mercato dell’arte e il coraggio di tentare di riparare a tale ingiustizi­a culturale con un’azione. “Ampliare il canone e la narrazione storica raccontata attraverso l’art e” è infatti il desiderio di Bedford, un immenso desiderio, certo, che però scaturisce da un gesto concreto, che può essere grande come vendere un Warhol ma anche piccolo come non alzarsi da un posto sull’autobus.

L’intento è dimostrare che il racconto della nostra collezione è incompleto perché si basa sui principi dell’esclusione

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Al posto di Warhol, Rauschenbe­rg e Kline, opere di Amy Sherald e di Jack Whitten
Ansa Scelte di campo Al posto di Warhol, Rauschenbe­rg e Kline, opere di Amy Sherald e di Jack Whitten
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