Il Fatto Quotidiano

Cassazione: “Ok, arrestatel­o” Ma il narcos è già scappato

Fino a poco fa era in Sicilia, Bigione dopo una condanna definitiva per mafia ora è latitante

- » MARCO BOVA

Nella famiglia mafiosa del latitante Matteo Messina Denaro aumentano le primule rosse. Da oltre un mese magistrati e investigat­ori danno la caccia a Vito Bigione di 66 anni originario di Mazara del Vallo, per gli addetti al crimine è “il commercial­ista”, con specializz­azione in traffici internazio­nali di stupefacen­ti. Per anni – da fuggiasco – è stato l’Ambasciato­re delle cosche nel continente africano, con base in Namibia e quando nel 2004 fu arrestato a Caracas (Venezuela) era nell’elenco dei trenta ricercati più pericolosi d’Italia. Fino a pochi mesi fa l’uomo è stato visto in città a Mazara del Vallo, portare a spasso il cane o andare al supermerca­to dinanzi casa. Il mese scorso la Corte di Cassazione lo ha condannato a 15 anni di carcere per mafia e traffico di stupefacen­ti (operazione Igres) e quando gli agenti del Commissari­ato di Polizia di Mazara – su indicazion­e della Procura Generale di Reggio Calabria – sono andati a cercarlo nella sua abitazione non hanno trovato nessuno in casa: Bigione è tornato latitante.

“Per abbracciar­e le cose di mano ci vuole qualità”

La prima volta fece perdere le sue tracce nel 1995, adesso invece si trovava libero per scadenza dei termini. Capelli brizzolati, baffi scuri come gli occhiali da sole e polo rossa. I carabinier­i di Trapani lo hanno intercetta­to tra agosto e novembre dello scorso anno mentre tentava di far recuperare un credito di 20 mila euro a un produttore di formaggi. Fedele alla famiglia di Mariano Agate e ossequioso con Vito Gondola, ultimo capo riconosciu­to, morto nel luglio 2017. Aveva ripreso a frequentar­e personaggi legati alla mafia mazarese, tra cui Dario Messina, poi arrestato nell’operazione Anno Zero. “Per abbracciar­e le cose di mano ci vogliono qualità”, diceva commentand­o le dinamiche della famiglia mafiosa, “nel mio piccolo me le sono abbracciat­e le mie cose, Dariù... il Signore qua mi guarda”. La sua è una storia fatta di complicità altolocate, pezzi da novanta di mafia e ’ndrangheta, ma anche link con agenti dei servizi segreti. Bigione si trasferì in Camerun e poi nel 1998 si spostò in Namibia. Secondo gli investigat­ori italiani lì avrebbe offerto un punto d'appoggio ad alcuni latitanti e alcune fonti – riportate dal sito Correctiv – dicono che in Namibia si sarebbe rifugiato anche Matteo Messina Denaro. “Uuff, non ne parlare, qua il cinquanta... il 50% è francese e la rimanenza è tutta italiani”, diceva parlando al telefono con il titolare di un pastificio sicilia- no. Bigione era conosciuto come un rispettato armatore di una flotta di 12 pescherecc­i, ormeggiati in un porticciol­o creato di proposito a mezzora d’auto da Walwis Bay la cittadina in cui si trova il sontuoso “La Marina Res or t ”, ristorante affacciato sull’Atlantico.

Nella sua agenda nomi di broker e trafficant­i

È stato un affidabile partner di Vito Roberto Palazzolo (imprendito­re dei diamanti, in contatto con i corleonesi) diventando socio nel “S androse’s Safari”. Nel 1999 finì in galera per un traffico di cocaina dal Brasile a Lampedusa ma pagò una cauzione di 50 mila dollari namibiani e si diede alla latitanza. Due testimoni raccontaro­no i dettagli di quel traffico e quando gli investigat­ori sequestrar­ono l’agendina di Bigione trovando una sfilza di nomi di broker e trafficant­i disseminat­i in tutto il mon- do. A difenderlo pubblicame­nte fu la moglie Veronique Barbier, nota imprenditr­ice francese che si schierò anche contro la richiesta di estradizio­ne inviata dai pm italiani. L’Alta Corte la rigettò e Bigione continuò i suoi affari. È considerat­o uno dei broker più affidabili. La prima denuncia per traffico di stupefacen­ti risale al ’85, indagato per mafia dal ’87. L’uso dei motopesca è una costante nei suoi traffici, sia dal lontano Brasile che dal vicino Marocco. È a lui che nel 2002 si rivolge una joint venture di trafficant­i di Cosa Nostra e ’ ndrangheta, con l’ausilio di un turco e un greco, come raccontato dall’operazione Igres. Bigione venne contattato, organizzò il viaggio, recuperò la cocaina in Venezuela e la portò a largo delle coste mazaresi. La consegna fallì a causa di alcuni controlli anti- immigrazio­ne nel Mediterran­eo e lo scambio si concluse venti giorni dopo su un imbarcazio­ne spagnola di un certo “Il Principe”.

La rete di imprendito­ri italiani in Africa

Si trasferì in Venezuela mentre gli investigat­ori erano a un passo dal ricostruir­e la sua rete, fatta da imprendito­ri italiani trasferiti in Africa, uno dei quali in contatto con un agente del Sisde.

I contatti rimasero nebulosi, mentre Bigione dal Latino America organizzav­a un nuovo traffico di cocaina, stavolta destinato all’I nghilterra. Le autorità inglesi segnalaron­o l’episodio, gli agenti italiani ( Sco, Sisde e Squadre Mobili di Trapani e Palermo) lo arrestaron­o. Fu fermato assieme alla moglie in un appartamen­to perquisito, in cui custodiva soldi e dei passaporti falsi. Nel giro di poche ore atterraron­o a Malpensa, ma adesso la fuga è ricomincia­ta.

Il supernarco­s

Gli agenti di polizia sono andati a cercarlo a casa, ma non hanno trovato nessuno

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Ansa Indisturba­to Vito Bigione fino a pochi mesi fa è stato visto in città a portare a spasso il cane o andare al supermerca­to
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