Il Fatto Quotidiano

“Mancano i mandanti occulti Rifate il processo Mormile”

Trattativa L’educatore carcerario di Opera fu assassinat­o nel 1990. Per la prima volta si sentì parlare di “Falange armata”

- » DAVIDE MILOSA

Mafiosi e spioni deviati. I primi: esecutori e mandanti, i secondi: suggeritor­i, interessat­i a tal punto da diventare loro stessi mandanti. Questo il quadro nel quale sarebbe maturato l’omicidio di Umberto Mormile, educatore penitenzia­rio nel carcere di Opera a Milano. A sostenerlo il fratello Stefano che due giorni fa, con il supporto dell’avvocato Fabio Repici, ha depositato sul tavolo del procurator­e aggiunto della Dda di Milano Alessandra Dolci una denuncia per riaprire il caso e individuar­e ulteriori responsabi­li. Tra questi “soggetti appartenen­ti ad apparati dello Stato”. Mormile fu ucciso a Carpiano l’11 aprile del 1990. A rivendicar­e l’omicidio con una telefonata la nota sigla “Falange armata” (fu la prima volta).

Sul caso pesano, ad oggi, due sentenze definitive, l’ultima chiusa nel 2011. Nei giudizi i mandanti vengono individuat­i nei fratelli Antonio e Domenico Papalia ( oltre al boss di Lecco Franco Coco Trovato), esponenti dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta, storicamen­te radicata nell’hinterland di Milano.

ESECUTORI materiali furono, invece, il killer Antonio Schettini (braccio destro di Trovato) e Antonino Cuzzola, che guidava la motociclet­ta. Entrambi pentiti, ma con atteggiame­nti differenti, almeno a leggere le 38 pagine di denuncia depositate dall’avvocato Repici. Schettini fu “protagonis­ta di un depistaggi­o”. Dopo aver portato a processo Antonio Papalia, scelse il giudizio abbreviato, mentre nel pro- cesso ordinario si avvalse della facoltà di non rispondere. Cuzzola, invece, fin da subito, siamo all’inizio degli anni Duemila, spiegò che il movente era legato “alla volontà di Domenico Papalia di sopprimere colui che nel penitenzia­rio di Parma era stato testimone di propri incontri abusivi con i servizi segreti”, circo- stanza che Mormile “aveva rivelato ad altro detenuto del carcere di Opera”.

In realtà, le motivazion­i milanesi dell’omicidio riconducon­o il movente al fatto che Mormile, “già corrotto a Parma dallo stesso Papalia”, nonostante la promessa di venti milioni (poi incassati) per addomestic­are una perizia favorevole al boss, si rifiutò sempre di redigere quel documento. A corroborar­e questa tesi anche il pentito Emilio Di Giovine. In realtà, si legge nella denuncia, “non combaciano nemmeno i periodi di servizio di Mormile al carcere di Parma con i benefici concessi a Domenico Papalia”. Insomma una verità giudiziari­a che oltre a essere parziale, lega Mormile a “una ingiusta condanna morale”. Mormile non fu mai un corrotto. Ora la tesi iniziale sostenuta da Stefano Mormile trova conferme nell’attualità. Già nel 2006 “nell’operazione Invisibili” della Dda di Reggio “venivano spiegate le relazioni tra Domenico Papalia e appartenen­ti ai servizi segreti, come pure la capacità dei Papalia di ottenere trattament­i privilegia­ti dentro le carceri”. Nel 2017, poi, l’inchiesta “‘Ndrangheta stragista”, che coinvolge anche Giuseppe Graviano, rimette in fila le carte del caso Mormile, attraverso le testimonia­nze di alcuni pentiti.

Ancora prima il giudice nella sua ordinanza scrive come lo stesso Mormile, rifiutando i soldi della ‘ndrangheta avesse detto “che lui non era uno dei Servizi, alludendo ai rapporti di Domenico Papalia, risposta che aveva mandato su tutte le furie il capo mafia e che gli era costata la vita”. Nel processo, oggi in fase dibattimen­tale, Vittorio Foschini, boss di Quarto Oggiaro, spiega: “Mormile fu ucciso per l’allusione sui rapporti Servizi-Papalia. Papalia disse che Mormile andava ucciso, precisò che bisognava parlare con i servizi visto che non si doveva sospet-

La condanna a morte L’uomo assistette agli incontri in carcere tra il boss Papalia e i Servizi segreti Caso riaperto Due giorni fa, un nuovo esposto del fratello che chiede di individuar­e altri responsabi­li

tare di loro (cioè dei Papalia). Ne seguì che Antonio Papalia, come ci disse, parlò con i servizi che, dando il nulla osta all’omicidio Mormile, si raccomanda­rono di rivendicar­lo con una sigla terroristi­ca che loro stessi indicarono”. Fu Antonio Papalia, ricostruis­ce il pentito Cuzzola, a farsi indicare dai Servizi la sigla della Falange armata e il “numero riservato dell’Ansa di Bologna” cui far chiamare da una cabina telefonica di Modena. Ancora Cuzzola: “Si sapeva che Domenico Papalia era in rapporti con i servizi segreti. Pino Piromalli me lo disse in carcere a Cuneo nel 2000. C’erano documenti che lo provavano”.

A LIVELLO MAFIOSO, il via libera all’omicidio arrivò dal cosiddetto Consorzio. Spiega il pentito Salvatore Annacondia, detto “manomozza”: “Il consorzio era la mamma di tutti i gruppi. Era una realtà che ricomprend­eva ‘ndrangheta, pugliesi, siciliani, campani. La Lombardia era la sua terra di elezione”. Per questo Stefano Mormile è convinto che “esistono ulteriori responsabi­li”. Tra questi “componenti del Consorzio e soggetti dello Stato che hanno suggerito, sollecitat­o, imposto l’assassinio e la rivendicaz­ione della Falange Armata”.

Umberto Mormile

Educatore carcerario, prima a Parma e poi a Opera, venne assassinat­o nei pressi di Carpiano, (Milano) La moglie Armida Miserere, direttrice del carcere di Sulmona, si suicidò nel 2003: il fratello Stefano Mormile chiede la riapertura dei processi in cui furono condannati solo gli ‘ndrangheti­sti

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Il carcere di Opera. Qui lavorava come educatore Umberto Mormile, ucciso nel 1990
LaPresse Milano Il carcere di Opera. Qui lavorava come educatore Umberto Mormile, ucciso nel 1990
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