Parigi val bene una messa in scena: si recita il Maggio
IL MIO ’68 Molte rivoluzioni cominciano nei teatri: è pensabile il Risorgimento senza la Scala?
La Sorbona fu occupata dagli studenti il 3 maggio, e l’occupazione durò fino al 16 giugno. Il famoso anfiteatro dove avevo ascoltato le lezioni dei prof al vertice della carriera divenne sede di un’assemblea permanente, dove si discuteva di tutto e si votava di tutto. Oggi si parla tanto di democrazia diretta, ma era quella che cercavamo di praticare allora. Non c’era alcun filtro: chiunque fosse presente alle assemblee aveva diritto di voto. Tutti potevano prendere la parola.
Alle assemblee alla Sorbona ci andavo spesso con Delphine. Mi accompagnava in giro a godersi quel Maggio. Vidi quindi gli eventi da due punti di vista: da quello mio, ventenne fin troppo sintonizzato sulle passioni del tempo, e da quello di una dame scafata. Era come se durante la Rivoluzione Francese avessi vissuto tra i sanculotti in compagnia di Madame de La Fayette. Delphine mi turbava dicendomi: “I tuoi compagni credono di essere contro i professori, ma vedi che poi, dopo tanto sbraitare, fanno proprio quello che dicono i loro profs gauchistes. Ripetono, in modo più caotico, i concetti dei loro docenti. Questa protesta di studenti, in fondo, realizza un sogno professorale”. Quando, poi, vidi da vicino i movimenti studenteschi italiani negli anni successivi, capii che lei aveva ragione: gli studenti erano tutti alla ricerca del Gran Maestro. Io però avevo già trovato i miei maestri, al di fuori della politica: Barthes, Lacan, Foucault, Eco, Lotman...
SICCOME nelle caotiche assemblee della Sorbona chiunque poteva votare, anche Delphine alzava il braccio. Sia lei che io tendevamo a votare per le mozioni più radicali e meno compromissorie, io per coerenza con la mia urgenza rivoluzionaria, lei per divertirsi di più. Dopo una lunga serata di dibattiti e votazioni, quando ce ne andammo lei esclamò: “Ma come siamo stati bravi, tu e io! Abbiamo votato sempre con la maggioranza”. Non ci avevo fatto caso. In passato, mi trovavo piuttosto a votare con le minoranze, ma ora, grazie al Maggio, mi trovavo al calduccio tra i piumoni della maggioranza. La sbronza del Maggio: per una volta eterne minoranze – come so- no, sempre, i radicali – vissero l’ebbrezza di sentirsi, finalmente, maggioranza. Oggi si direbbe che le nostre idee nel giro di qualche settimana erano divenute virali. Ma non c’è nulla di più illusorio della sensazione di sentirsi “egemoni” – come si diceva allora, gramscianamente.
Si è denunciata anche la tentazione totalitaria dietro la festa della democrazia diretta. In effetti, il progetto rousseauiano di democrazia diretta – il superamento della rappresentanza politica – porta in nuce una carica totalitaria perché mira all’unanimità. Allora volevamo che dalle assemblee uscisse una volontà unica, indivisa, e quindi le minoranze, scivolando nella posizione di frange anti-rivoluzionarie, andavano eliminate. Non ci era chiaro, allora, che la specificità della democrazia, invece, è proprio lo spazio e la tutela dati alle minoranze. “Il popolo” è sempre diviso.
Non a caso il Maggio studentesco ebbe come epicentro dei teatri. Oltre all’anfiteatro della Sorbona, in quei giorni, proprio mentre gli operai occupavano le fabbriche, fu occupato il teatro dell’Odéon al Quartiere Latino. Allora era diretto dal grande attore e regista Jean-Louis Barrault, il quale non si oppose all’occupazione, anzi tacitamente la favorì. Fu così che, finito il Maggio, fu licenziato dal governo e ricominciò da zero la sua carriera. Comunque, per una sorta di riflesso atavico, la pièce rivoluzionaria trovò nelle sale di teatro i suoi luoghi deputati. Molte rivoluzioni del passato cominciarono nei teatri. È pensabile il Risorgimento senza la Scala e le opere di Verdi?
All’Odéon c’era una tribuna permanente, chiunque poteva parlare. Ventiquattro ore su ventiquattro, anche di notte c’era sempre qualcuno che aveva voglia di parlare o di a-
scoltare. Questo fa capire quanto una parte dei parigini in quei giorni stesse nel pallone. Mentre le assemblee nelle facoltà occupate pretendevano di avere anche un potere decisionale, la tribuna dell’Odéon era una sorta di versione rivoluzionaria dell’Hy d e Park Corner a Londra, un angolo dove chiunque poteva prendere la parola, una delle attrazioni turistiche londinesi all’epoca. Non a caso poi il Maggio verrà interpretato come prise de la pa
role , presa della parola, termine introdotto dallo storico gesuita e lacaniano Michel de Certeau.
A quei tempi non c’erano radio libere né televisioni private, non c’erano Facebook, chat lines, Twitter, e tutti gli altri aggeggi della chiacchiera di massa. Allora i grandi strumenti di comunicazione, in Italia e in Francia, erano nelle mani dello stato e politicamente controllati, o in mano ai potentati giornalistici. Che ci fossero luoghi in cui chiunque si potesse esprimere – oltre ai graffiti sui muri – appariva allora un atto di per sé rivoluzionario.
Ovviamente il Maggio non aveva un programma politico. Molte organizzazioni ne avevano uno proprio, ma nell’insieme, che cosa in fondo tutti volevamo? Ciò che volevamo era solo quel che avveniva. Come Nietzsche, volevamo solo l’eterno ritorno di ciò che ci stava accadendo.
ALCUNI AMICI molto seriosi, pur essendo comunisti, non sembravano affatto estasiati da quella baraonda, che de Gaulle chiamò chienlit. È termine cinquecentesco di Rabelais che significa letteralmente “caga nel letto”. Per questi amici la politica era un processo cartesiano: c’è un progetto politico, un programma che ne discende, e un’azione per realizzarlo. Chiedere a un movimento spontaneo di avere programmi chiari e distinti era semplicemente ridicolo. La “cagata nel letto” del Maggio preannunciò la società liquida di cui oggi tutti parlano. Allora fu come se tanti musicisti, ognuno col proprio strumentino – dalla tromba allo scacciapensieri, dal pianoforte alle nacchere –, si fossero ritrovati d’un tratto, senza alcun direttore d’o rchestra, a suonare, per un mese e mezzo, una trascinante sinfonia. È un po’come accadde negli stadi, quando la massa dei tifosi creò la ola, l’onda regolare che nasce non da un comando ma da una improvvisa sintonia collettiva. Il Maggio fu una deliziosa ola politica.
Filosofia spicciola De Gaulle chiamò quella baraonda ‘chienlit’, termine cinquecentesco di Rabelais che significa letteralmente ‘cagata nel letto’ IDEE VIRALI
Per una volta le minoranze – come sono sempre i radicali – vissero l’ebbrezza di sentirsi maggioranza