Libia, il Pd ora vuole bocciare la linea Minniti sulle missioni
LE MOTOVEDETTE Dopo il sì al Senato, ci ripensano
■Lunedì il testo è alla Camera, dove il gruppo Dem è diviso tra chi non vuole sconfessare l’ex ministro e chi chiede più garanzie
Lunedì la Camera vota il decreto che prevede la cessione alla Libia di 12 motovedette (10 “unità navali CP”, classe 500, in dotazione al Corpo delle capitanerie di porto, Guardia costiera; 2 da 27 metri, classe Corrubia, in dotazione alla Guardia di finanza). Provvedimento già passato al Senato e talmente importante per il governo da portare le firme del premier Giuseppe Conte e di ben 4 ministri (Salvini, Toninelli, Moavero e Tria).
VOTERANNO a favore – oltre a Lega e Cinque Stelle – anche Forza Italia e Fratelli d’Italia. E il Pd – praticamente fuori tempo massimo – ha cercato di smarcarsi, con l’obiettivo dichiarato di cercare far emergere spaccature nella maggioranza, ma con il risultato di spaccarsi. In Senato, i dem prima si sono astenuti in Commissione Esteri (dove siedono, tra gli altri, Renzi, Pinotti, Casini), poi in Aula hanno votato a favore. La discussione è partita giovedì a Montecitorio, con una parte del gruppo convinta che il Pd dovesse dire di no. Posizione difficilmente sostenibile visto che – come ammettono molti nel partito – il decreto in se stesso, in piena continuità con quanto fatto da Marco Minniti, va bene. E allora? Le risposte divergono. Si va da chi dice “non ci fidiamo di Salvini” a chi – come Graziano Delrio, il capogruppo – parla di una “richiesta unanime alla maggioranza di “mettere condizioni su monitoraggio e trattamento dei centri libici”, a Matteo Orfini che va all’attacco, promettendo un no “perché alla Lega non importa niente dei diritti umani”. Alla ricerca (complicata) di una sintesi i dem hanno presentato due emendamenti (prima firma la responsabile Esteri, Lia Quartapelle) per chiedere “sostegno” e “finanziamento”, ai programmi di crescita, “completamento del si- stema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia”, “adeguamento dei centri di accoglienza temporanei in territorio libico e alla formazione del personale libico”, oltre alla preparazione nel primo soccorso e nella tutela dei diritti umani”.
LA CORNICE è il Memorandum d’Intesa del 2017 tra Gentiloni e al Serraj. La Lega però non ha intenzione di accoglierli. Perché – spiegano dal Viminale – il riferimento al Trattato è nella premessa della legge. Piero Fassino ha chiesto al governo di intervenire per dare conto dell’azione complessiva sulla Libia, prima del voto in Aula. Richiesta fallimentare in partenza: si vota lunedì. Il tentativo era quello di uscire dall’empasse in cui si è cacciato il partito, tra la voglia di scartare a sinistra e quella di non sconfessare politiche già iniziate con Minniti. Prove tecniche di un’opposizione incerta. I Dem sottolineano come manchi tutta la parte più umanitaria della questione e non si abbia chiara quale sia la politica del governo in Libia. Replicato in Aula il Sottosegretario agli Interni, Nicola Molteni (Lega): “È parte integrante, di
Priorità di governo
La Lega tira diritto:
”Il provvedimento è per fornire le imbarcazioni Il resto verrà dopo” Chiediamo di mettere condizioni sul monitoraggio e sul trattamento dei centri di raccolta
GRAZIANO DELRIO
questo decreto l'articolo 5 del memorandum, che fa del rispetto degli accordi internazionali, delle convenzioni internazionali vigenti e del rispetto dei diritti e dei principi umanitari una parte fondamentale del decreto stesso”.
Da notare che il relatore del testo è un leghista, dell’inner circle di Salvini, Eugenio Zoffili e che politicamente in Parlamento è seguito dallo stesso Molteni. I Cinque Stelle si accodano. Un elemento però c’è: nel provvedimen- to gli unici finanziamenti previsti sono per le motovedette. Spiegano dal Viminale: “È questo l’obiettivo del provvedimento. Che è all’interno di una visione strategica generale: tutte le altre misure seguiranno”. Nel frattempo, Federico Fornaro, che con Leu voterà contro, si appella alla violazione della Convenzione di Ginevra. Il Pd cerca l’exit strategy: votare compatto a favore e salvare la faccia. Ma qualche no ci sarà.