Il Fatto Quotidiano

Il decreto incubo della destra e delle curve

La giurisprud­enza Tutti i processi finiti in Cassazione negli ultimi 5 anni. C’è anche un “caso Isis”

- » ANDREA PALLADINO

C’è un incubo ricorrente nel mondo della destra neofascist­a. Si chiama “Operazione Runa”, ha la data del 5 maggio 1993. Fu la prima applicazio­ne del decreto Mancino sulla discrimina­zione razziale, firmato pochi giorni prima dell’azione della polizia di Stato contro il gruppo di estrema destra. Ad essere colpita fu la sigla Base autonoma, network che includeva Movimento politico del romano Maurizio Boccacci – oggi militante attivo dell’area vicina a Forza nuova – e diversi gruppi skinheads italiani. Quell’inchiesta riuscì a smantellar­e un’organizzaz­ione ritenuta estremamen­te pericolosa. Da allora la legge che prende il nome dall’ex ministro dell’interno è divenuta il nemico numero uno dell’area della destra radicale. E delle tifoserie più oltranzist­e, gruppi spesso legati spesso al neofascism­o, vivai dove le sigle di area pescano manovalanz­a, trasforman­do le curve in vetrine. Come avviene negli stadi, con striscioni che diventano messaggi in codice, rivendicaz­ioni, evocazioni. Temuta anche da ll’area leghista, dopo la condanna a due mesi - definita nel 2009 - per l’ex sindaco di Verona Flavio Tosi per “propaganda di idee razziste”.

LA LEGGE 205 del 1993 ha nel frattempo accumulato una solida giurisprud­enza. Scorrendo le sentenze della Cassazione degli ultimi cinque anni, consultabi­li sul database Italgiure, si ha una casistica significat­iva, una sorta di indicatore dei contesti colpiti dai magistrati. Non è necessario, ad esempio, che vi sia l’esplicito riferiment­o ad una “superiorit­à” etnica o religiosa, richiamand­o le teorie del razzismo biologico di stampo nazifasci- sta. Basta “rendere percepibil­e all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio etnico, e comunque a dar luogo, in futuro o nell'immediato, al concreto pericolo di comportame­nti discrimina­tori” per vedere riconosciu­ta l'aggravante, hanno scritto i giu- dici di Cassazione lo scorso marzo. Il caso riguardava l'aggression­e di due immigrati avvenuta a Busto Arsizio nel 2010: “Che venite a fare qua, dovete andare via”, aveva gridato un gruppo di giovani durante l’azione.

NEL MAGGIO dello scorso anno la Cassazione si è espressa sul ricorso di un imputato di Lucca al quale era stata contestata l'aggravante dell'odio razziale. Confermand­o le condanne – i fatti riguardava­no alcuni insulti antisemiti in ambito calcistico – i magistrati hanno definito il confine sottile tra propaganda e odio razziale: “La propaganda di idee consiste così nella divulgazio­ne di opinioni finalizzat­a ad influenzar­e il comportame­nto o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccoglier­e adesioni, l’odio razziale o etnico è integrato non da qualsiasi sentimento di generica anti- patia, insofferen­za o rifiuto riconducib­ile a motivazion­i attinenti alla razza, alla nazionalit­à o alla religione, ma solo da un sentimento idoneo a determinar­e il concreto pericolo di comportame­nti discrimina­tori”.

In almeno due casi anche il “saluto romano” è stato ritenuto punibile. In un processo conclusosi con il ric o no s c i m en t o dell’applicabil­ità del decreto Mancino – ma con una assoluzion­e per prescrizio­ne dei fatti – i giudici hanno sottolinea­to come l’esibizione di braccia tese all'interno di uno stadio “nel corso di un incontro di calcio valido per la partecipaz­ione ai campionati mondiali di calcio, al quale as- sistevano 20.000 spettatori, trasmesso in television­e” violasse legge del 1993. La platealità del gesto è stata ritenuta un elemento di peso. Nel 2014 la Cassazione ha poi confermato il divieto di accesso agli stadi ad indagati per la violazione della legge 205 del 1993 accusati di insulti contro un calciatore di colore.

Più recentemen­te la Procura di Perugia ha chiesto l’aggravante dell’odio razziale per un jihadista , per alcune dichiarazi­oni “contro ebrei e cristiani”. L’i po t e s i non ha retto poi al momento delle misure cautelari, ma rimane un precedente di rilievo.

Il primo cittadino Nel 2009 Flavio Tosi, ex sindaco di Verona, subì una condanna a due mesi per propaganda

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Ansa Simboli Striscioni in curva
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