Il Fatto Quotidiano

La stagione afosa dietro la finestra di Hitchcock

- » PATRIZIA DE RUBERTIS

Presentato in anteprima a New York, il primo agosto 1954, oltre a inaugurare la 15° edizione del Festival di Venezia, riportando gli incassi più alti mai registrati da una pellicola di Alfred Hitchcock fino ad allora, La finestra

sul cortile è l’indiscusso capolavoro del brivido, l’apoteosi della soggetti- va in cui gli spettatori diventano i testimoni oculari di un efferato delitto, un femminicid­io, in cui le pulsioni umane scatenano un misto di terrore, dramma e morbosità senza però mai provocare disgusto, quanto piuttosto un’innocente occasione per il protagonis­ta, il fotoreport­er L.B. Jefferies (interpreta­to da James Stewart) – che poi siamo tutti noi – di trascorrer­e l’ultima lentissima settimana di una calda estate bloccato in casa con una gamba ingessata prima di poter tornare ai reportage d’assalto, la vita vera.

NEL FRATTEMPO si deve accontenta­re di spiare i suoi vicini dalla finestra del salotto insieme alla fidanzata Lisa (Grace Kelly) che rischierà addirittur­a la vita per assecondar­e la ricerca della verità di Jeff nel trovare l’assassino. Tutto attraverso gli occhi di un io narrante che non racconta la vicenda ma la vive. Che il signor Thorwald sia il colpevole è abbastanza intuitivo e non serve la confession­e finale. Quello su cui Hitchcock insiste è la conseguenz­a d el l’atto voyeuristi­co: con il suo binocolo può osservare indisturba­to e in tutta sicurezza le vite degli altri. Così la finestra che dà sul cortile è la trasposizi­one del schermo cinematogr­afico e la sedia a rotelle di Jeff è la poltroncin­a rossa della sala. Una sorta del buco della serratura, come cerca di ricordare Lisa al fidanzato: “Siamo diventati un Paese di guardoni. Ciascuno farebbe bene a guardare in casa propria!”.

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