Fontana, il crociato che “uccide” il voto Cinque stelle
Ogni volta che Lorenzo Fontana parla, un elettore del Movimento 5 Stelle muore, o – come minimo – si chiede com’è stato possibile finire al governo con accanto un tizio così. Trentotto anni anche se ne dimostra forse 83, Fontana è nato a Verona. A guardarlo, si capisce subito come l’uomo mangi pane e volpe a colazione: ha sempre lo sguardo di uno che ha letto la biografia di Paperoga, senza però capirne appieno gli snodi. Leghista della prima ora e vicinissimo a Salvini, era già vicesegretario del Movimento Giovani Padani a 22 anni. Consigliere comunale a Verona, eurodeputato nel 2009 e 2014. Nel 2016 è vicesegretario federale della Lega Nord con Giancarlo Giorgetti. L’anno dopo è vicesindaco a Verona. Poi, nel 2018, Salvini lo vuole in Parlamento. Ed è subito leggenda: prima vicepresidente alla Camera e poi Ministro per la famiglia e disabilità, dove ne combina subito più di Bertoldo. L’informazione che detesta il Salvimaio, cioè quasi tutta, lo cerca come nel 2013 inseguiva gli “sciroccati” eletti coi grillini. Fontana sta a questo governo come i fan di sirene & scie chimiche stavano al M5S: non contano granché, ma fanno folclore e alimentano la narrazione ufficiale secondo cui al governo ci sono dei citrulli pericolosi, mentre all’opposizione si stagliano i Pajetta e Bordiga. Anche ieri Fontana ci ha fatto sognare. “Forse 10 vaccini sono troppi, ma non sono un medico” (e allora perché parli?). “Voglio soldi per il mio ministero. Se non servo posso lasciare” (volesse il cielo). “Risorse a famiglie e disabili o ne trarrò le conseguenze” (brrrr, che paura). “Sulla legge Mancino farò una riflessione con Conte e Di Maio, sono persone di buon senso”. Non senza tracce sporadiche di buon senso, a chi lo accusa di razzismo risponde così: “Io detesto fascismo e razzismo. Da identitario e cattolico non potrebbe essere diversamente. E sono anche per sanzionare severamente queste cose. Però la legge non può essere utilizzata come una clava per zittire qualsiasi pensiero non omologato. Non si può accusare di razzismo l’intero governo per il caso di Daisy Osakue, quando — come si è visto — di razzismo in questa vicenda non c’era l’ombra”. Secondo Fontana, “il nostro popolo è sotto attacco” a causa di unioni civili e migrazioni. E già in questa tesi si scorgono tutti i limiti di Basaglia. Sostiene Fontana che “siamo crociati che combattono non con le spade, ma con gli strumenti della cultura, dello studio e dell’informazione veritiera e corretta una battaglia difficile e faticosa. Ma che comunque condurrà alla vittoria”. Daje. “Da un lato l’indebolimento della famiglia e la lotta per i matrimoni gay e la teoria del gender nelle scuole, dall’altro l’immigrazione di massa che subiamo e la contestuale emigrazione dei nostri giovani all’estero. Sono tutte questioni legate e interdipendenti, perché questi fattori mirano a cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni. Il rischio è la cancellazione del nostro popolo”. C’è però una via per la salvezza: “La battaglia finale è quella per la vita”. E come si combatte, secondo il crociato Fontana? Abrogando la Legge Mancino. Ispirandosi a Putin, “il riferimento per chi crede in un modello identitario di società”. Vietando l’eutanasia, perché “se non si rispetta la vita dal concepimento alla fine naturale, si arriva ad aberrazioni”. E battendosi contro il diritto di aborto, come noto (?) “la prima causa di femminicidio nel mondo”. Se Fontana fosse vissuto ai tempi dell’Inquisizione, le streghe si sarebbero date fuoco da sole. Per sottrarsi al supplizio di ascoltare tutta quella grandinata di cazzate.