Il Partito degli Affari fa guerra al governo su precari e appalti
LOBBY CONTRO In 70 giorni Conte & C. si sono inimicati un bel po’ di poteri
■ La frenata sulle grandi opere, Tav in particolare, e i limiti ai contratti a termine hanno compattato un fronte ostile che va dalla Confindustria al “Corriere della Sera” alla Cgil. Ma ci sono due alleati imprevisti sul debito: Trump e la Cina
Quando il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani è andato sui cantieri dell’alta velocità Torino Lione e ha indossato quel caschetto bianco si è messo alla testa di un partito vasto, eterogeneo e in cerca di un leader: il partito degli scontenti, o il partito degli affari, come lo chiama già qualcuno. Subito si è accodato Sergio Chiamparino, in quota Pd. E già gli risponde il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli e parlando a lui parla a tutto il partito degli affari: “Si metta l’animo in pace, la mangiatoia è finita”.
CHI SIANO GLI ISCRITTI a quel partito sul lato grandi opere è abbastanza evidente: i grandi costruttori sono in crisi. Cond ot te ha chiesto l’a mm in istrazione controllata, Astaldi sta provando a ristrutturarsi, Fincosit ha chiesto il concordato in bianco, il gruppo Salini- Impregilo dopo anni di convinto berlusconismo era riuscito a convincere perfino il Pd e Matteo Renzi dell’urgenza del Ponte sullo stretto di Messina. Ora non è più stagione per proporre certe cose, Toninelli - che pare ancora un po’ spaesato - al ministero si è portato consulenti come il professor Marco Ponti assai poco inclini a spendere anche un solo euro per progetti la cui utilità non sia dimostrata con numeri chiari. Alla corrente “grandi opere” del partito degli scontenti è affiliata anche la Snam guidata da un manager in ascesa, Marco Alverà: avere dalla propria il Quirinale di Sergio Mattarella non basta, il destino dell’ultimo tratto del gasdotto
Tap in Puglia è ancora incerto. I
5 Stelle, col ministro per la Coesione B a rbara Lezzi, restano sensibili ai rumorosi gruppi locali che protestano, in difesa degli ulivi e della spiaggia di San Foca. Difficile dire cosa succederà.
Ma la corrente più nutrita del partito degli scontenti è quella degli “indignati”, nel senso di furibondi per il decreto Dignità. Guida il gruppo Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, ferito due volte: perché gli industriali non sono stati considerati nel- la discussione del provvedimento e perché, per la prima volta da molto tempo, si trova un governo disposto a complicare la vita alle imprese, in nome di ragioni di principio.
LE CONTESTAZIONI degli imprenditori sono note: il limite per i contratti a tempo determinato che scende da 36 a 24 mesi costringerà molti ad assumere dipendenti che avrebbero tenuto volentieri precari per un altro anno, il ritorno dell’obbligo di causale sopra i 12 mesi aumenta il rischio di contenzioso per quei lavoratori che vorranno impugnare il contratto a termine sostenendo di aver diritto a quello stabile. Il governo ha usato molto il bastone, mentre la carota degli incentivi alle assunzioni per gli under 35 è davvero troppo piccola. Molti imprenditori, poi, s’erano abituati al renzismo: sussidi pubblici per assumere anche le persone che avrebbero comunque assunto.
A guidare la rivolta è stato Matteo Zoppas, capo di Confindustria Veneto, a nome di imprese medio-piccole che ha riunito a centinaia in un’assemblea. E le preoccupazioni di Zoppas hanno attivato il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, che ha costretto la Lega di governo a occuparsi del decreto Dignità promettendo cambiamenti al momento della discussione in aula. Cambiamenti che non sono arrivati, se non con la previsione di una breve - e confusa - fase transitoria prima dell’applicazione piena. Ai veneti è parsa quasi una beffa che i nuovi vincoli sui contratti a termine si applicassero alle loro piccole imprese dinamiche ma non alla P.A.
Il Foglio diretto da Claudio Cerasa ha dato voce a tutti gli industriali più bellicosi, raccontando addirittura di una rivolta del “60 per cento del Pil”. Come se tutta l’economia delle Regioni in cui operano i vari Piero Ferrari (Emilia Romagna), Giovanni Mondini (Genova), Marco Bonometti (Lombardia) fosse in rivolta. Stima esagerata, perché c’è anche una corrente moderata e quasi soddisfatta nel partito degli affari: quella degli imprenditori del turismo, della ristorazione, d el l’agricoltura che hanno esultato per il ritorno dei voucher. Sia perché i famigerati buoni lavoro abbattono i costi e garantiscono massima flessibilità, ma anche - è la silenziosa speranza - permettono di fare di nuovo un po’ di “nero”. Questi imprenditori, che hanno come referente un altro leghista, il ministro del Turismo e dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio, non hanno molta voce, perché oscurati dalle imprese medio-grandi di Confindustria che i voucher li usano poco. Come prevedibile, il ritorno dei “buoni lavoro” ha fatto invece infuriare la segretaria della Cgil Susanna Camusso, uno smacco che ha più che compensato la limitata soddisfazione per la stretta sui contratti a termine. Nel 2017 la Cgil aveva convocato un refe-
Ex “alleati” Anche la Cgil, cui non dispiaceva il decreto Dignità, ha cambiato idea dopo il ritorno dei voucher
rendum sui voucher, poi il governo Gentiloni li ha cancellati per decreto, annullando la consultazione, per poi resuscitarli poco dopo in forma attenuata: ora Conte ne amplia di nuovo il campo d’applicazione e ricominciare la campagna per un altro referendum pare difficile.
Perfino la Confcommercio dell’eterno Carlo Sangalli è piuttosto critica - il problema è il ritorno delle causali - anche se il malcontento è stato poco ostentato, perché i commercianti hanno come priorità che il governo eviti l’aumento dell’Iva nel 2019 e metta limiti ai centri commerciali sulle aperture nei giorni festivi.
IL DECRETO Dignità sembra aver spinto all’adesione al partito degli scontenti anche Urbano Cairo, l’editore di La7 e del Corriere della Sera, due gruppi ad alta intensità di lavoro. Il giornale di via Solferino è stato a lungo la più autorevole sponda per il M5S di governo: grandi interviste, anticipazioni di provvedimenti, dialogo costante che in cambio produceva una benevola con- discendenza. Oggi invece il Corriere affida sempre più spesso gli editoriali in prima ai commentatori più critici sui temi del lavoro o agli economisti Alberto Alesina eFrancesco Giavazzi che evocano catastrofi finanziarie per l’autunno.
Gli unici che ancora non hanno aderito al partito della protesta sono i banchieri. Certo, non hanno gradito la battuta di Luigi Di Maio secondo cui “la mafia è anche un atteggiamento di alcune banche”. Ma sanno bene che il destino del settore del credito è legato a quello del debito pubblico italiano: se il governo spaventerà i mercati con la legge di Stabilità, partiranno le vendite di titoli di Stato italiani, il loro valore collerà e le banche, piene di Btp, si troveranno con buchi nei conti.
Se davvero in autunno ci sarà la tempesta finanziaria che molti temono, gli iscritti al partito della protesta avranno ben altri problemi che il decreto Dignità.
Le imprese Confindustria era disabituata ai governi “non amici”: ora Zoppas in Veneto spaventa Zaia