Il Fatto Quotidiano

I selfie bruciati di vanità

A-14 Gli scatti sul rogo come segno dell’io ci sono

- » ALESSANDRO FERRUCCI

L’io stravince, non ci sono margini. L’io domina, lo schermo ti sorride, il risultato sullo schermo è anche modificabi­le, basta saper utilizzare le giuste funzioni, oplà, sei anche tu soggetto da copertina. L’io non concede sfumature di dubbio, l’ io non dà variabili, non dà spazio all’ eccezione altrui, al giudizio differente da “bello”, “super ”,“fantastico ”, “beato te”. L’io ti consegna a un’altra dimensione, quella dell’onanismo mentale.

L’io stravince, non ci sono margini. L’io domina, lo schermo ti sorride, il risultato sullo schermo è anche modificabi­le, basta saper utilizzare le giuste funzioni, oplà, sei anche tu soggetto da copertina.

L’io non concede sfumature di dubbio, l’io non dà variabili, non dà spazio all’eccezione altrui, al giudizio differente da“bello ”,“super ”,“fantastico ”,“beatote ”. L’ io rende ciechi, o alme noti consegna a un’ altra dimensione, quella dell’onanismo mentale, dove non solo si perdono i parametri della collettivi­tà, ma anche della salvaguard­ia di se stessi. Un esempio? L’incidente sulla tangenzial­e di Bologna è l’ultima evoluzione (evidente) di quanto sta accadendo intorno a noi.

RACCONTA Riccardo Muci, il poliziotto definito eroe: “In quei dieci minuti di terrore ho salvato le persone dalla morte”. Quelle persone non erano intrappola­te tra le lamiere, non erano infortunat­e o sotto choc; quelle persone erano intrappola­te dal loro cellulare, erano immobili a strappare l’attimo di celebrità, il bisogno di dimostrare, di rimarcare l’ossessivo “io c’ero”; il bisogno primario non era salvarsi (secondo Sky alcuni si sono ustionati il palato) o aiutare eventuali compagni di sventura, ma alimentare un presunto riflettore rivolto verso il proprio moltiplica­tore di egocentris­mo. La notizia sono io. Io sono dentro la notizia. L’attimo sono io. L’attimo legittima me come io legittimo l’attimo. E allora braccio in aria teso, sguardo sullo schermo, pollice lesto al click. Altro click. Ancora. Il resto non conta. Conta solo la condivisio­ne. La tua condivisio­ne.

Prendete Instagram, il social più in voga del momento, quello che sta soppiantan­do Facebook o Twitter, e scorrete le immagini pubblicate dai suoi naviganti: al 90 per cento sono soggetti singoli o al massimo dei panorami; non c’è quasi mai collettivi­tà, il contesto è solo legato all’infinito io: il faro è rivolto solo verso di noi. Sorrisetti. Profili. Che bel costume. Beato-a! Risatine finte, like di opportunit­à, tu lo metti a me, così poi ricambio, guarda che bel successo questa foto.

È sempre lo schermo a mediare la nostra vita, è lui il diaframma delle emozioni visive, le uniche ancora in vita. Racconta Renato Zero: “Non ne posso più di questi selfie, a nessuno interessa il ‘carne e ossa’, nessuno ti chiede un abbraccio o ti rivolge una domanda, un compliment­o. Siamo solo delle bestie da selfie”. Funziona così.

E allo stesso modo arriviamo a giudicare il poliziotto di Bologna come un eroe, ma lui “eroe” non lo è solo perché ha salvato tante persone e con dei danni in prima persona; lui è un “eroe” perché è ancora in grado di vivere la quotidiani­tà con lo sguardo (sano) rivolto verso ciò che lo circonda, di comprender­e gli attimi legati alle circostanz­e. Senza il bisogno di un cellulare perennemen­te in mano.

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