“Donald, aiutaci sullo spread” I gialloverdi puntano sugli Usa
A ottobre sui mercati si balla: la richiesta di Conte a Trump, le speranze cinesi di Tria
Elettori e sondaggi a parte, il governo dei barbari non ha molti amici tra corpi intermedi, interessi organizzati, stampa e alta burocrazia italiana. I suoi problemi d’altra parte, sempre che il consenso non cominci a scendere, non sono interni. O meglio, quelli interni coincidono con le tensioni all’interno dei tre partiti che convivono nell’esecutivo: 5 Stelle, Lega e il partito di Sergio Mattarella. Per ora, peraltro, quest’ultimo pare aver preso – per quanto può, ovviamente - la guida delle operazioni con un’agenda di corto respiro: portare a casa la manovra senza traumi per avere più forza nel bloccare il prossimo pacchetto bancario Ue a dicembre. Nel 2019 ci sono le Europee: il dopo è terra incognita. Per arrivarci vivi, però, i gialloverdi dei tre “riti” hanno comunque bisogno di qualche amico in giro per il mondo.
Il sottovalutato Giuseppe Conte ha capito fin dalla sua prima uscita, il G7 in Canada, che l’unica sponda politica possibile – ma non certo di scarso peso – è Donald Trump. Al Tesoro, invece, cercano pure un complesso accordo con la Cina su commercio, investimenti e finanza: il ministro Giovanni Tria ha forti legami con Pechino e sta preparando una sorta di roadshow in Asia.
PERCHÉ CONTE e i suoi ministri di peso – ma non Salvini e Di Maio, che si occupano, per così dire, del mercato interno – cercano alleati, e così eterogenei, fuori dai confini? Lo facciamo dire al sottosegretario Giancarlo Giorgetti: “Già sappiamo che tra fine agosto e inizio settembre i mercati si metteranno a bombardare”.
Un timore diffuso nel governo - e una speranza dei suoi avversari - è una crisi finanziaria subito: d’altra parte a ottobre il Quantitative easing sarà ridotto da 30 a 15 miliardi di acquisti al mese per terminare entro fine anno, togliendo dal mercato l’unico compratore netto di titoli di Stato italiani di questi anni (oggi il sistema Bce detiene circa 350 miliardi di nostro debito, il 15% del totale, e quelle cedole saranno comunque rinnovate per qualche anno). È probabile, in sostanza, che si assista a nuove tensioni sullo spread col conseguente aumento dei rendimenti che l’Italia sarà costretta a pagare ai famosi “mercati” per piazzare i suoi Btp.
Per questo servono alleati. E dalle spalle larghe. Di que- sto, ad esempio, il presidente del Consiglio ha parlato con Trump nella sua visita a Washington del 30 luglio: Conte ha chiesto al presidente Usa di “far girare voce” che non sarebbe sgradito un aiuto della finanza a stelle e strisce nelle aste e sul mercato secondario dei titoli italiani dopo l’estate. D’altra parte già a giugno furono proprio i grandi fondi d’Oltreoceano a curare la febbre dello spread: Bridgewater, Aqr,
Glg, Blackrock, Pimco, Prudential e Dodge & Cox stabilizzarono il mercato due mesi fa e l’augurio di Palazzo Chigi è che, anche grazie ai “c ons igl i” del loro amico Trump, lo facciano anche in autunno. D’altra parte la Casa Bianca ha i suoi motivi – e non certo ideologici (il populismo e altre amenità) – per cercare la sponda italiana: da una parte c’è la guerra commerciale iniziata contro la Germania e il suo enorme surplus con l’estero (Berlino è dal 2013 nella lista Usa dei “Paesi manipolatori di moneta”); dall’altra la partita libica dove gli interes- si petroliferi americani confliggono con quelli francesi.
E POI C’È LA CINA. Tria, che ha buoni rapporti col mondo accademico cinese, Paese in cui si reca tutti gli anni, cercherà di spiegare a Pechino che investire in Btp conviene (rendimenti più alti), come pure aprire maggiormente le porte al made in Italy per i milioni di nuovi ricchi cinesi. Se vorrà, avrà al suo fianco il sottosegretario allo Sviluppo Michele Geraci, voluto dalla Lega ma benvisto anche dai 5 Stelle, ex banchiere d’affari che negli ultimi dieci anni ha vissuto e insegnato economia in Cina: pare che, nel suo nuovo ruolo, abbia già sondato Air China per una partnership con Alitalia.