Chi denuncia subisce un doppio abuso
L’accusa Alle vittime di stupri la polizia chiede di simulare la violenza. Con un manichino
Una donna che subisce violenza in Giappone e decide di andare a denunciarla in commissariato può trovarsi davanti alla richiesta delle forze dell’ordine di mimare la violenza subita, replicandola con manichini a grandezza naturale, mentre risponde alle domande degli investigatori .
A RIVELARLO è un report pubblicato da Human Rights Watch (Hrw), organizzazione non governativa che da anni si occupa di diritti umani in tutto il mondo.
Il rapporto dell’ organizzazione segnala inoltre che il 95% delle violenze subite da donne non è denunciato nel Paese e che spesso a soffrire la gogna mediatica non è l’aguzzino bensì la vittima a causa di una cultura che considera lo stupro come “imbarazzante” per la donna che lo subisce. Ma solo per lei.
Quello della percezione della violenza di genere è un proble- ma che purtroppo non riguarda solo il Giappone: a gennaio Jeremy Wright procuratore generale dell’Inghilterra e del Galles ha deciso di revisionare tutti i casi di abusi sessuali allo scopo di ultimare le indagini e portare a termine le inchieste.
Il protocollo britannico costringe infatti la vittima che denuncia lo stupro a consegnare agli investigatori tutti i dispositivi elettronici di cui è in possesso, ciò produce un’evidente perdita di privacy che non incoraggia certo le donne violentate ad affidarsi alla giustizia. Già a marzo 2017 un sondaggio aveva rivelato come tra le vittime di violenza nel Regno Unito, ben cinque donne su sei avessero deciso di non sporgere denuncia per non subire invasioni nella sfera personale. Anche la Nuova Zelanda sembra avere lo stesso problema come testimoniato da un’inchiesta condotta dal quotidiano New Zealand Herald che ha rivelato che negli ultimi vent’anni la polizia neozelandese ha archiviato migliaia di casi di violenze su donne come “non crimine”. E, anche se negli ultimi anni la situazione è leggermente migliorata, sono ancora tante le donne che vedono la loro denuncia finire nel dimenticatoio.
E in Italia? Lo chiediamo ad Anna Maria Giannini, professoressa di Psicologia generale presso l’Università La Sapienza di Roma. “Le forze dell’ordine del nostro Paese, in primis Carabinieri e Polizia di Stato, hanno fatto notevoli passi avanti - risponde -. Pratiche come quella giapponese che costringono la vittima a rivivere il trauma appena subito sono state bandite dall’Italia con la Decisione Quadro d’Europa del 2001”.
“Se infatti possono forse essere utili per le indagini - aggiunge la professoressa -, questi metodi investigativi sono molto pericolosi per la vittima in quanto potenzialmente ritraumatizzanti”. “L’Italia ha fatto grandi passi in avanti e oggi, come dimostrano i recenti dati di Telefono Rosa, c’è stato un boom di denunce negli ultimi sei mesi - conclude Giannini -. Ciò vuol dire che sempre più persone hanno fiducia nella risposta che le istituzioni possono dare su questo tema. Ma non bisogna correre il rischio di rilassarsi: il fenomeno rimane sempre preoccupante”.
Con una decisione europea del 2001 in Italia le pratiche come quella che obbliga la vittima a rivivere il trauma appena subito, non possono mai essere utilizzate
ANNA MARIA GIANNINI