Il Fatto Quotidiano

“Io, caporale, faccio pagare pure l’elettricit­à per caricare i telefoni”

REPORTAGE Una giornata con Alì nei campi di Foggia: “Così prendo e porto i braccianti”

- » ANDREA GISOLDI

Raccogliev­o pomodori anche io, poi mi hanno promosso. Ora in zona ci sono più controlli”. E infatti lo avvertono e scappa via

Il telefono squilla alle 5.19. “Scusa il ritardo – dice Alì - ma oggi ci sono un po’ di casini. Ci vediamo sulla strada per Stornara tra un quarto d’ora”. Alì è un caporale. Un quarto d’ora dopo siamo fermi in una piazzola. Poco più in là, vicino l’ex casa colonica diroccata, c’è una decina di ragazzi di colore che aspetta. Guanti già alle mani. E vestiti da straccioni. Alì ha mollato il solito furgone sgangherat­o. Arriva con una vecchia Volvo station wagon 740 grigia vecchia di 30 anni. Alì si avvicina. “Spegni il telefono”, dice, chiedendom­i di farlo sotto i suoi occhi. “Quando partiamo vai avanti tu - continua - e guardami dallo specchiett­o: ti indico la strada con le frecce”. È il suo modo per tenerci sottocchio. Nel frattempo la Volvo si riempie: 9 ragazzi per 5 posti a disposizio­ne.

Gli pagano tra i 3 e 4 euro al giorno ciscuno per il trasporto. Ribaltati i sedili posteriori, tutti insieme in quell’u n ic o spazio, i ragazzi entrano in silenzio, uno indossa delle cuffie. Alì controlla personalme­nte se hanno telefoni o qualcosa che registri. È ossessiona­to da quest’idea. Comunica con loro sia in arabo e in francese. un concetto dev’essere chiaro: niente casino nell’auto. E attenti alla testa quando s’imbocca la strada sterrata che porta al campo.

Il viaggio inizia. Attraversi­amo le strade tra le campagne. Niente vie principali. Arrivati in prossimità del campo c’è un trattore che ci aspetta. A guidarlo, un ragazzo probabilme­nte dell’Est. Si giustifica per il ritardo. E anche per la nostra presenza: “È un amico - gli dice - deve portare l’auto da un meccanico, se non possono aggiustarl­a subito mi accompagna qua”. La Volvo scarica i 9 ragazzi: corrono a re- cuperare i cassoni impilati. Poi si perdono tra i pomodori e tra le zolle fangose. Piegati in due. Vedi soltanto le schiene ondeggiare. L’odore è nauseante. L’aria sa di marcio. “Colpa delle piogge – spiega Alì – hanno mandato a male il raccolto”. Siamo soli. Possiamo parlare. Alì non si fida.

VUOLE che svuotiamo le tasche e lasciamo tutto in auto. “Alza la maglietta” dice, pensando di scovare qualche microfono incerottat­o sul petto, poi finalmente si lascia un po’ andare: “Sono arrivato in Italia nel ‘92. E sono stato per anni nei campi. Raccogliev­o i pomodori. Come quei ragazzi che vedi ora. Raccogliev­o anche carciofi, asparagi, uva. Ero come loro. Facci caso: non superano i 25 anni di età. Avevo più o meno la loro età, al mio primo giorno di lavoro. Ero in una campagna di Serracapri­ola. Ho fatto le stagioni dal 1992 al 2004. Per 12 anni. Poi mi hanno promosso – se così si può dire – e ho iniziato a fare il capo. Voi mi chiamate caporale. Tra noi questa parola non esiste. Tra noi esiste solo capo. Al massimo reys. Nel 2004 avevo un Ford transit azzurrino. Un bel mezzo: una volta siamo entrai in 23. Però la pompa dei freni spesso non andava bene. Oggi mi hai visto arrivare con quella macchina, ma di solito utilizziam­o un furgoncino. Dentro ci sono gli sgabelli in legno: una quindicina abbondanti ci entrano. Da quando sono successi quei due incidenti però non si può più vivere. Troppi controlli. Anche i cittadini fanno le foto, invece di stare attenti a guidare. Io non ho mai messo a rischio la vita dei ragazzi: ci tengo so- prattutto alla mia, di vita. Sono carico? Vado piano. Una volta ho forato: sbandiamo di brutto, dritti sul muretto laterale, ma per fortuna nessuno si fa male”. Nelle sue parole non sembrano braccianti.

Sembrano pacchi. “Sai quanti ne ho visti? Anche quelli che sono morti nel rogo del ghetto hanno viaggiato con me. Anche io rischio la vita. Basta saper guidare e non fare cazzate: io ho questo vecchio Nokia apposta, ha solo l’essen- ziale e non mi vien voglia di distrarmi mentre guido. Quando posso faccio qualche ora di sonno: col caldo anche la stanchezza fa brutti scherzi”. A quest’ora Alì passa al suo secondo lavoro: “Mi occupo delle baracche. Con i 3,5 euro al giorno che mi danno i ragazzi non si va avanti. Se va bene con il trasporto, ne prendo sui 50 al giorno. Il carburante, se riesco, lo prendo dal padrone. Ma ci sono gli imprevisti. Come oggi, che devo usare l’auto, posso portare meno persone e sto qui per 35 euro”.

E COSÌ ARROTONDA con le baracche. “Faccio dormire molti di loro appena arrivano. Ci sono molte case abbandonat­e: ricavo degli alloggi e porto un generatore per la corrente. Li affitto per 5 euro al giorno. Bagno e doccia non ci sono. Porto dei boccioni d’acqua. Ma si paga a parte. Il generatore dà solo la luce: se vogliono ricaricare il cellulare, pagano un euro a ricarica. Al ragazzo che sta attento ai furbi permetto di ricaricare gratis. La benzina del generatore costa. Poi si fermano al massimo per la raccolta, 15/20 giorni, e hanno un tetto per dormire. Quando sono arrivato con tre cassini si faceva una capanna e sopra si metteva un telo per la pioggia. Per terra cartoni o materassi usati. Le case che affitto io sono migliori”. Sistemati gli alloggi torna in campagna. “Ritorno al campo e mi organizzo con chi comanda - di solito sono italiani - per la manodopera del giorno dopo. In base a quel che serve io avverto i ragazzi di tornare o di portare qualcuno. Il giorno dopo si presentano sempre il doppio. E devi evitare anche le risse su chi deve venire a lavorare”. La paga è ovviamente da

IL FURGONCINO A 15 POSTI

Da quando sono successi quei due incidenti non si può più vivere, troppi controlli E anche i cittadini fanno le foto invece di stare attenti a guidare

CASE COLONICHE ABBANDONAT­E

Per dormire lì devono darmi 5 euro al giorno Bagno e doccia non ci sono, porto i boccioni d'acqua. Per ricaricare il cellulare serve un euro a ricarica

fame. “Se lavorano bene anche 3 o 4 euro l’ora. Dai, diciamo 3. Loro, come me, lo fanno per mandare soldi a casa. In molti campi il padrone dà acqua e panini. Spesso però loro non li mangiano: hanno paura che ci sia il salame, sono musulmani. Allora gli faccio preparare delle frittate. Così non stanno digiuni. E non è vero che il capo è cattivo. Io ho passato la stessa loro storia. Ogni mattina, quando sono costretto a scegliere, scelgo chi ha più biso- gno”. E c’è chi paga la scelta con la vita. “Incidenti mortali non devono accadere mai più. Ma qui, se non si lavora così, i pomodori e gli altri raccolti restano nel campo. Meglio poco che niente. E poi: anche in fabbrica si rischia la vita”.

Squilla il telefono. Alì sgrana gli occhi e risponde: “Vengo subito”. Ci prende per un braccio. Bisogna risalire in auto e filare via. “C’è un controllo qui vicino”, spiega. “Ormai è così tutti giorni: ispettorat­o, carabinier­i, tutti ora si sono svegliati”. Riempie l’auto con i ragazzi. Lampeggia per farci accelerare. Entra in una proprietà privata. “Adesso vai” dice. E sparisce nella campagna.

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Ansa Sciopero dei raccoglito­ri La "marcia dei berretti rossi" da San Severo e diretta a Foggia dell’8 agosto
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