Le pene libiche del diplomatico tra Sarraj e Haftar
L’app di notizie più scaricata
L’ambasciatore a Tripoli in equilibrio con il nuovo schieramento di Salvini
Dopo un pomeriggio passato a leggere Infowars, pensi che Michelle Obama abbia le spalle troppo larghe per essere una donna e forse ha un pene. Che l’allunaggio americano sia una messa in scena e che l’11 settembre sia un complotto, come scie chimiche e vaccini. E poi, soprattutto, il Nuovo Ordine Mondiale: “Vi controllano tutti!”. Leggi che chi difende i rifugiati soffre di “altruismo patologico”. Scritte appaiono a lettere cubitali con colori sempre saturi, suoni sempre violenti. Le risate registrate delle vecchie sitcom americane si susseguono con le caricature del “nemico”. Nel motore del sito che trita disprezzo la benzina usata è la rabbia dell’“uomo bianco che rischia il genocidio”. Poi arriva via radio la voce del vate delle fake news americane: quella roca di Alex Jones.
Niente è sobrio, tutto è in guerra, come il nome del suo media: Infowars. Ecco. Questa da ieri è l’app di notizie più scaricata d’America.
Da quando Facebook, Amazon, Youtube, Spotify e perfino Youporn, lo hanno sincronicamente bloccato dai loro server, da Google Play e Apple milioni di americani hanno cominciato a scaricare la sua app, che è la prima nei trend download.
Sul sito di Jones le notizie non sono tutte bianche o nere: a volte sono di un colore che nemmeno esiste, come la strage nella scuola elementare di Sandy Hook, che per Stone non è mai avvenuta. Masticato il complotto, lo risputa ai suoi follower. E come non si può sapere dove arriverà l’onda del sasso che tiri nel lago, non si può predire mai prima l’effetto della bufala che Jones tira nel web. È stato denunciato dai parenti delle vittime del massacro, che sono stati assaliti a loro volta dai fan-atici di Jones. Alcuni collaboratori di Jones sono in mimetica, c’è anche il lobbista Roger Stone. I programmi si chiamano war room o real news.
Le breaking news di oggi riguardano un soggetto che Jones ama sopra ogni cosa: Jones. La sua faccia ha la scritta censored sulla bocca, ripete che lotterà contro “i nazisti del freespeech, tech giant, l’imperialismo culturale degli hipst er di sinistra di San Francisco. Questa è la purge, la purga, ed è solo l’inizio della fine della libera espressione, stanno venendo a prendervi! I patrioti del Primo emendamen- to lottino con noi”.
Nato nel 1974, il figlio di un dentista e una casalinga di Austin, legge da piccolo None dare call it cospiracy, nessuno la chiami cospirazione. Da grande caverà da quel titolo un destino e nel 1999 fonda In fow ar s. Diventa Gran maestro della fake news, principe venerato della manipolazione mediatica e pastore di greggi di haters Usa. Hammering, martellante, è una delle parole che ama far uscire dal grosso collo nella sua camicia sempre ben stirata. Si definisce paleo conservatore, ma vecchia e nuova destra estrema americana marciano a braccetto nelle condivisioni dei podcast, è il suo esercito di complottisti allevati in serra.
FA DEFLAGRAREla sua logorrea su twitter, ultimo media che gli rimane, depaupera la verità in 140 caratteri: adesso vuole andare al Congresso “per difendere la libertà di parola”. Resistenza “forever”, scrive a lettere cubitali, come fa il suo beniamino che lo apprezza pubblicamente: Trump. L’americano che ha paura e che ha voglia di pensare che è sempre colpa degli altri, gli dà ragione. È colpa di “transgender, migranti, musulmani, lobbisti, democratici, cheerleaders dei liberali”. Nei commenti pulsano le peggiori budella d’America.
Jones è gonfio e tronfio di ira, ma soprattutto di se stesso. Nel perimetro distorsivo delle mezze verità in cui si muove, “c’è un Alex reale e una controfigura”, un doppio. Jones è un fake che ammette di esserlo: è solo un “performer”, un attore, come ha detto al tribunale di Austin quando la sua ex moglie ha chiesto il divorzio e la custodia dei 3 figli. Lei l’ha ottenuta, lui è tornato a casa con un referto medico. Diagnosi: narcisismo.
ALEX JONES
I nazisti del freespeech, l’imperialismo culturale degli hipster di sinistra di San Francisco. Questo è solo l'inizio della fine della libera espressione