Il Fatto Quotidiano

L’Aifa si allarga e sogna il grattaciel­o all’Eur

Le soluzioni demaniali “non all’altezza”. Ma Palazzo Italia costa 8 milioni

- » LORENZO VENDEMIALE

L’elegante

sede in via del Tritone, con l’ing res so classicheg­giante e i balconcini su piazza Barberini, ormai le sta stretto. L’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, si espande e presto avrà bisogno di una nuova casa, sicurament­e più grande, meglio se prestigios­a. Quella dei sogni si chiama Palazzo Italia, grattaciel­o di 20 piani nel cuore dell’Eur, a Roma. Costa caro, 7-8 milioni di euro, quasi il doppio del canone attuale, ma che problema c’è: paga (anche) lo Stato.

ENTEpubbli­co sotto il controllo del ministero della Salute e dell’Economia, l’Aifa si occupa dell’attività regolatori­a sui farmaci. La sua storia inizia nel 2004 e non è esente da ombre, tra arresti e perquisizi­oni. L’ascesa, però, sembra inarrestab­ile: l’ultimo bilancio segna un fatturato di quasi 90 milioni, di cui 25 di contributi statali. E nonostante le misure di blocco del turnover varate negli ultimi anni, l’agenzia è uno dei pochi istituti pubblici ad avere il permesso di aumentare il personale: ben 241 assunzioni straordina­rie fino al 2019, che porteranno la pianta organica da 389 a 630 unità.

Per questo a ottobre è stato pubblicato un avviso per la ricerca di un nuovo immobile: presto l’Agenzia ospiterà oltre 700 persone al giorno. L’edificio di via del Tritone, che pure è relativame­nte recente (lì dal 2010) e con i suoi sei piani nel centro di Roma rappresent­ava un bel salto di qualità, non basta più. Il sogno dei vertici è tornare all’Eur, dove si trovava l’umile sede originaria, ma in grande stile: in cima alla lista c’è il grattaciel­o di piazza Marconi, per cui il fondo Antirion (che lo gestisce per l’Enpam, cassa previdenzi­ale dei medici) può chiedere 7-8 milioni l’anno. L’Aifa oggi ne paga la metà, ma sembra disposta a fare questa follia.

Di qui il malumore dentro e fuori l’Ag e n z i a : possibile che non ci fossero sedi pubbliche o meno costose? Poche, ma c’erano: all’avviso hanno risposto solo in due (un altro privato all’Eur, oltre Palazzo Italia), ma il Demanio aveva proposto alcuni suoi stabili vuoti, uno in viale Ciamarra (Cinecittà), l’altro a Tiburtina. Entrambi scartati, ufficialme­nte perché presentava­no problemi: i l primo e più quotato, ad esempio, sarebbe disponibil­e solo fino al 2022 e ha bisogno di r istruttura­zione.

Ma c’è pure un’altra motivazion­e che non si può dire apertament­e: “Diciamo la verità, sono un cesso. Le agenzie europee, dall’Ema in giù, hanno sedi centrali o prestigios­e. Che figura facciamo se andiamo in perife- ria?”, raccontano da dentro. Palazzo Italia, invece, coi suoi 16mila metri quadri di superficie, oltre mille postazioni lavoro e 20 piani specchiati, sarebbe perfetto.

LO HA SEMPREpens­ato l’ex direttore generale Mario Melazzini, innamorato del progetto, che da poco non è stato riconferma­to dal governo: la procedura è impacchett­ata ma non ancora conclusa, manca l’ok del Demanio. Solo una bocciatura o l’arrivo del nuovo dg possono fermare il trasferime­nto. “Il mio grande rimpianto è quello di non essere riuscito a portarlo a termine”, ha detto Melazzini nel suo discorso di commiato. Lascia un’eredità piuttosto costosa.

Cambio ai vertici Il trasferime­nto è un’eredità dell’ex direttore Melazzini L’ultima parola al suo sostituto

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