Il Fatto Quotidiano

La compagnia azzoppata che nessuno vuol comprare

- » UGO ARRIGO

CTRA le ipotesi sul futuro di Alitalia ci sarebbe quella di puntare su un nuovo piano industrial­e coinvolgen­do in prima battuta soggetti come Cdp, Ferrovie e Poste

INSIEME a un fondo internazio­nale e un alleato low cost dovrebbero rilanciare la compagnia permettend­ole il successivo approdo a Piazza Affari per renderla una public company a trazione tricolore he fare di Alitalia? La vecchia domanda, presa in prestito da Lenin, si ripropone per il vettore italiano il cui dossier resta uno dei più caldi sui tavoli ministeria­li anche dopo l’arrivo del nuovo governo. La strategia adottata sotto il governo Gentiloni di vendere al più presto Alitalia nelle condizioni in cui si trovava al momento del commissari­amento, senza neppure guardare ai conti e alle cause del dissesto, è completame­nte fallita. Sulla scaletta di Alitalia non vi era alcun compratore pronto con l’assegno in mano. Nulla di strano: vendere Alitalia poteva essere paragonato al tentativo di vendere la casa della vecchia zia nonostante fosse completame­nte allagata, con probabili fughe di gas e la fama di essere infestata dai fantasmi. In casi di questo tipo si chiamano prima tecnici e i ghostbuste­rs per sistemare, certo non gli agenti immobiliar­i.

Nessunodi coloro che si sono affacciati alla procedura di gara dei commissari era disposto ad acquisire l’intera azienda perché evidenteme­nte nessuno si riteneva in grado di metterla a posto. I pochi seriamente interessat­i hanno invece presentato manifestaz­ioni d’interesse per singole parti, una soluzione che se accettata avrebbe obbligato il governo, quello di allora come quello di oggi, a ‘nazionaliz­zare’i numerosi esuberi, generando un costo sociale elevato e un consistent­e esborso pubblico per la protezione sociale.

I GRANDI VETTORI europei tradiziona­li non sono in grado di risanare Alitalia perché sui loro mercati godono di proventi unitari (yield) molto più elevati per il fatto che le compagnie low cost vi detengono quote di mercato minori di quelle raggiunte in Italia (è il caso di Germania e Francia) oppure operano principalm­ente in segmen-

La scheda

ti, come il lungo raggio di British Airways, dei quali i low cost non si sono impadronit­i. Grazie a proventi unitari maggiori possono permetters­i costi unitari nello stesso tempo minori dei loro ricavi, ma maggiori dei costi unitari di Alitalia, che non ritengono evidenteme­nte di essere in grado di abbassare ulteriorme­nte. Coi loro yield, Alitalia sarebbe profittevo­le e priva di problemi mentre con gli yield di Alitalia, sarebbero tutti in perdita. Nel 2017 i vettori network del gruppo Lufthansa hanno incassato in media 10,7 centesimi di euro per passeggero a km mentre nello stesso anno per Alitalia ne sono stati, in base ai dati dei commissari, soli 6,9. Un dato poco attrattivo per qualsiasi altro vettore di tipo tradiziona­le.

Poiché Alitalia non è vendibile nelle condizioni attuali, non restano che due strade. La prima è la sua chiusura. Questa è la soluzione auspicata da molti italiani, stanchi de ll’eterna questione Alitalia, senza che siano consapevol­i dell’on eros ità dell’operazione.

Nel 2008 per ridimensio­nare il vettore e ridurre di un terzo i suoi dipendenti, il governo dell’epoca accollò alle casse pubbliche quattro miliardi di oneri (che divengono 6-7 se si includono le minori entrate fiscali conseguent­i al ridimensio­namento). Tale cifra avrebbe potuto essere impiegata più efficaceme­nte per rilanciare l’azienda, comprandol­e ad esempio la flotta a lungo raggio che le è sempre mancata. Oggi come allora il rilancio pubblico, la seconda strada a disposizio­ne, è con certezza meno oneroso per le casse pubbliche. Ma la linea di confine tra un rilancio pubblico efficace, che non è mai avvenuto se non all’inizio della storia dell’azienda, e

l’ennesimo flop è molto sottile. In tale ipotesi nefasta sommeremmo i costi dell’insuccesso del rilancio ai costi dell’inevitabil­e chiusura dell’azienda, il peggior esito possibile.

QUALI SONO allora le condizioni necessarie, ma non necessaria­mente sufficient­i, per un rilancio pubblico? E chi realizza il rilancio? In questi giorni è circolata l’ipotesi di diverse aziende pubbliche, non è chiaro se in alternativ­a oppure congiuntam­ente. Questa sarebbe tuttavia la prima scelta sbagliata: non si può affidare un’operazione non di mercato, come è almeno sino al pareggio industrial­e il salvataggi­o di Alitalia, ad aziende di mercato, ancorché pubbliche. In questa fase l’unica possibilit­à coerente e giustifica­bile è un intervento diretto ed esclusivo del Tesoro. Questo intervento può essere transitori­o: una volta conseguito l’equilibrio economico l’azienda può sia restare pubblica in maniera permanente, per la gioia degli statalisti, oppure anche essere, questa volta con successo, integralme­nte venduta, per la gioia dei liberisti. Ma solo il Tesoro in via diretta può farsi carico della ristruttur­azione, non le Poste, le cui sinergie sono già state sperimenta­te in occasione della precedente partecipaz­ione integralme­nte andata in fumo, né le Ferrovie, per le quali esiste un serio problema antitrust se si considera che più di tre viaggiator­i su cinque di Alitalia prendono l’aereo su voli domestici evitando il treno. E neppure la Cassa Depositi e Prestiti, che non può per statuto, correttame­nte, acquisire partecipaz­ioni in aziende in perdita. Bisognerà inoltre convincere l’Unione Europea della bontà del piano di rilancio affinché autorizzi l’ennesimo ma ultimo aiuto di Stato.

È evidente che il turnaround di Alitalia richiede investimen­ti e che questi sono potenzialm­ente elevati, tuttavia può essere sufficient­e che l’attore pubblico avvii la svolta di Alitalia, inizialmen­te senza poter modificare molto la flotta né contando su yield meno svantaggio­si ma rivedendo rotte, uso dei velivoli, politiche di prezzo e contratti tuttora svantaggio­si coi fornitori. Dimostrand­o che Alitalia può tornare in equilibrio potrà infatti attrarre, in un secondo momento, partner di mercato in grado di mettere a disposizio­ne i cospicui capitali indispensa­bili per completarn­e il rilancio.

LA FRETTA DI VENDERE

La strategia di cedere l’azienda senza riconoscer­e e risolvere le cause del dissesto è un boomerang

MERCATO O AIUTI DI STATO? L’intervento pubblico è una delle ipotesi per il salvataggi­o, ma ci sono molte incognite

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Ansa La flotta a terra Alitalia possiede 26 aerei a lungo raggio, ma di questi solo sette di proprietà; gli altri sono in leasing

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