Ankara in crisi, Europa sulla graticola
Un tweet di Trump su nuovi dazi scatena le vendite
Un semi dittatore con un’idea tutta personale della politica monetaria, un’inflazione che galoppa, e un grave dissidio con gli Stati Uniti. Sono questi gli ingredienti del crollo della lira turca. Un fenomeno che si sta trasformando in una crisi finanziaria che supera i confini del Paese orientale.
Ieri la lira è scesa del 14% contro il dollaro, e del 12% contro l’euro. Un tonfo che ha trascinato al ribasso le altre valute emergenti e le Borse europee. A fare peggio di tutti è stata Piazza Affari, che ha perso il 2,51%. Dall’ inizio dell’anno la lira è scesa del 40% contro dollaro e del 37% contro l’euro. Con i titoli di Stato a due anni della Mezzaluna che, colpiti dalle vendite, ora rendono il 21%. A rischio crisi, secondo alcuni analisti, ora sarebbe l’intero sistema finanziario europeo, dove molti investitori, istituzioni comprese, sono investiti in titoli di Stato turchi (in Italia si parla di soprattutto di Unicredit).
I CROLLI DI IERI sono stati la diretta conseguenza dalle parole di del presidente Usa, Donald Trump: “Ho appena autorizzato un raddoppio dei dazi su acciaio e alluminio nei confronti della Turchia”, ha twittato, annunciando nuovi dazi al 20% sull’allumino e al 50% sull’acciaio. Il dissidio con gli Usa nasce dal rifiuto dei turchi di rilasciare un cittadino americano, Andrew Craig Brunson, incarcerato due anni fa ( recentemente messo agli arresti domiciliari) dopo il tentato golpe del 2016 contro il premier Recep Tayyip Erdogan, con l’accusa di spionaggio.
Ma la crisi della valuta turca ha origini più politico-economiche. Il progressivo rafforzamento del potere personale di Erdogan è andato infatti di pari passo con un rafforzamento del controllo sulla Banca centrale, fattosi ancora più stretto dopo la nuova vittoria elettorale del 24 giugno. Un’influenza deleteria, visto che Erdogan, che deve il suo successo politico ai progressi economici del primo mandato (2003-2014) ritiene, contro ogni teoria e buonsenso economico, che la crescita dei tassi d’interesse, oltre a deprimere la crescita, faccia salire l’inflazione. Il quasi tiranno cerca quindi da anni di impedire alla Banca centrale di alzare i tassi. Il risultato è che se il Pil turco sta crescendo ancora del 7,3%, l’inflazione è arrivata al 16%.
La valuta che crolla peggiora i problemi d’inflazione rendendo più care le merci d’importazione (la Turchia ha un deficit commerciale al 5,5% del Pil), in una spirale di cui non si vede via d’uscita se non in un rapido cambio di rotta monetaria. Ieri il presidente ha tentato una mossa da disperato: “Se avete dollari, euro o oro sotto il vostro cuscino, andate in banca per cambiarli con delle lire turche. È una lotta nazionale”, ha detto in un discorso pubblico.
Parole che non sono bastate a far risalire la lira.