I romeni tornano a casa: tutti in piazza contro il governo
Rabbia generale Nella manifestazione repressa dalla polizia (450 feriti) tanti emigrati in Europa. E il presidente sta con la protesta
Barricate e fiamme. Il fuoco brucia pneumatici, il gas dei lacrimogeni la pelle. Poi l’acqua. Quella degli idranti della polizia contro gli almeno 50 mila manifestanti della notte di Bucarest. Sono almeno 450 i feriti del venerdì della rabbia nella capitale rumena. A piazza Vittoria uomini, donne e bambini sono tornati. Vogliono ancora la stessa cosa per i corrotti trincerati nel palazzo bianco del Governo che gli sta di fronte: le sbarre. Echi di marce arrivano anche da Cluj, Timisoara, Sibiu: tutti per strada. Adesso il presidente del paese Klaus Iohannis, partito nazionale liberale, eletto due anni fa anche grazie ai voti dei residenti all’estero, vuole due cose: condanne e spiegazioni per “il brutale intervento della polizia, fortemente sproporzionato rispetto alla manifestazione”.
ESTATE È QUANDO IL MONDO va in vacanza e quando i migranti tornano a casa. Sono da 3 a 5 i milioni di rumeni che lavorano all’estero, alimentando le casse delle loro famiglie e quelle del paese con 4,3 miliardi di euro l’anno, il 2,5% del Pil della nazione tra le più povere dell’Unione. È una diaspora che ha un’origine sola: una fame declinata con mille altre definizioni e sfumature, ma tutte ti spingono a migrare. Le vite dei migranti sono ormai altrove, ma la loro patria è rimasta la stessa. Quasi in 10 mila sono tornati nel paese dove sono nati, per raggiungere i compatrioti in piazza. Li hanno aggregati i social.
Per la depenalizzazione tentata nel 2017 dal governo del socialdemocratico Grindeanu, si riversarono in piazza 200mila persone. Sotto zero rimanevano fermi, come le aste delle loro bandiere tricolore, due inverni fa. “Mi chiamo David, faccio il tatuatore a Copenaghen, noi rumeni abbiamo sempre usato le gambe o per stare in ginocchio o per scappare altrove, sono venuto quando ho sentito levarsi il grido di protesta dei miei fratelli”, aveva detto il ragazzo. “Siamo messi così male qui, che emigrano anche i vecchi adesso”. Il governo contro cui protestano oggi i rumeni è quello di Viorica Dancila, ma la corruzione e le tangenti sono le stesse dell’epoca, come le cifre dei loro salari rimasti bassissimi.
Questa lotta non ha ancora un leader, ma ha una faccia: quella di una donna che è stata cacciata lo scorso luglio, Laura Kovesi. Tre lettere: Dna, Directia Nationala Anticoruptie. Il direttorato anticorruzione di cui era a capo diffondeva terrore tra una classe politica tra le più corrotte d’Europa. Per le sue indagini avevano cominciato a tremare gli scranni: dopo un duello perso contro il ministro della Giustizia, Tudorel Toader, il presidente Iohannis a luglio ha approvato il suo licenziamento. Una mossa dettata dalla pressione esercitata dal partito Psd al potere e dal vecchio leader già condannato per corruzione, Liviu Draganea.
KOVESI È STATA ALLONTANATA dal suo ufficio e dal suo archivio: contiene quasi tremila casi di corruzione aperti e rinvii a giudizio per tangenti milionarie. I nomi sono quelli di ministri, senatori, parlamentari, magistrati della nazione dove è stata approvata la depenalizzazione per reati di corruzione lo scorso febbraio. La donna in toga che combatte gli uomini del potere non è stata ancora sostituita e con l’onda di proteste più grandi dalla fine del regime di Ceaucescu, sarà difficile mettere al suo posto un fantoccio. A Piazza Vittoria le manifestazioni si susseguiranno. Nel palazzo del governo non c’è nemmeno la premier Dancila, che è in vacanza. I ricchi vanno in ferie, i poveri tornano in patria. E vanno in piazza a protestare.