Il Fatto Quotidiano

I romeni tornano a casa: tutti in piazza contro il governo

Rabbia generale Nella manifestaz­ione repressa dalla polizia (450 feriti) tanti emigrati in Europa. E il presidente sta con la protesta

- » MICHELA A.G. IACCARINO

Barricate e fiamme. Il fuoco brucia pneumatici, il gas dei lacrimogen­i la pelle. Poi l’acqua. Quella degli idranti della polizia contro gli almeno 50 mila manifestan­ti della notte di Bucarest. Sono almeno 450 i feriti del venerdì della rabbia nella capitale rumena. A piazza Vittoria uomini, donne e bambini sono tornati. Vogliono ancora la stessa cosa per i corrotti trincerati nel palazzo bianco del Governo che gli sta di fronte: le sbarre. Echi di marce arrivano anche da Cluj, Timisoara, Sibiu: tutti per strada. Adesso il presidente del paese Klaus Iohannis, partito nazionale liberale, eletto due anni fa anche grazie ai voti dei residenti all’estero, vuole due cose: condanne e spiegazion­i per “il brutale intervento della polizia, fortemente sproporzio­nato rispetto alla manifestaz­ione”.

ESTATE È QUANDO IL MONDO va in vacanza e quando i migranti tornano a casa. Sono da 3 a 5 i milioni di rumeni che lavorano all’estero, alimentand­o le casse delle loro famiglie e quelle del paese con 4,3 miliardi di euro l’anno, il 2,5% del Pil della nazione tra le più povere dell’Unione. È una diaspora che ha un’origine sola: una fame declinata con mille altre definizion­i e sfumature, ma tutte ti spingono a migrare. Le vite dei migranti sono ormai altrove, ma la loro patria è rimasta la stessa. Quasi in 10 mila sono tornati nel paese dove sono nati, per raggiunger­e i compatriot­i in piazza. Li hanno aggregati i social.

Per la depenalizz­azione tentata nel 2017 dal governo del socialdemo­cratico Grindeanu, si riversaron­o in piazza 200mila persone. Sotto zero rimanevano fermi, come le aste delle loro bandiere tricolore, due inverni fa. “Mi chiamo David, faccio il tatuatore a Copenaghen, noi rumeni abbiamo sempre usato le gambe o per stare in ginocchio o per scappare altrove, sono venuto quando ho sentito levarsi il grido di protesta dei miei fratelli”, aveva detto il ragazzo. “Siamo messi così male qui, che emigrano anche i vecchi adesso”. Il governo contro cui protestano oggi i rumeni è quello di Viorica Dancila, ma la corruzione e le tangenti sono le stesse dell’epoca, come le cifre dei loro salari rimasti bassissimi.

Questa lotta non ha ancora un leader, ma ha una faccia: quella di una donna che è stata cacciata lo scorso luglio, Laura Kovesi. Tre lettere: Dna, Directia Nationala Anticorupt­ie. Il direttorat­o anticorruz­ione di cui era a capo diffondeva terrore tra una classe politica tra le più corrotte d’Europa. Per le sue indagini avevano cominciato a tremare gli scranni: dopo un duello perso contro il ministro della Giustizia, Tudorel Toader, il presidente Iohannis a luglio ha approvato il suo licenziame­nto. Una mossa dettata dalla pressione esercitata dal partito Psd al potere e dal vecchio leader già condannato per corruzione, Liviu Draganea.

KOVESI È STATA ALLONTANAT­A dal suo ufficio e dal suo archivio: contiene quasi tremila casi di corruzione aperti e rinvii a giudizio per tangenti milionarie. I nomi sono quelli di ministri, senatori, parlamenta­ri, magistrati della nazione dove è stata approvata la depenalizz­azione per reati di corruzione lo scorso febbraio. La donna in toga che combatte gli uomini del potere non è stata ancora sostituita e con l’onda di proteste più grandi dalla fine del regime di Ceaucescu, sarà difficile mettere al suo posto un fantoccio. A Piazza Vittoria le manifestaz­ioni si susseguira­nno. Nel palazzo del governo non c’è nemmeno la premier Dancila, che è in vacanza. I ricchi vanno in ferie, i poveri tornano in patria. E vanno in piazza a protestare.

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