Sui 4 migranti affogati si indaga anche per omesso soccorso
L’inchiesta La Procura di Agrigento sulla tragedia del 14 luglio
La Procura di Agrigento, che sta indagando sui quattro migranti morti il 14 luglio a poche miglia da Linosa, sta acquisendo i giornali di bordo e tutte le comunicazioni intercorse tra guardia costiera, Marina militare e Guardia di finanza dalla notte del 13 luglio fino al soccorso del giorno dopo. I quattro migranti, secondo le ricostruzioni e le testimonianze raccolte dalla squadra mobile di Ragusa, annegarono dopo essersi tuffati dal barcone, sul quale viaggiavano con circa 450 persone, quando videro la motovedetta della Finanza avvicinarsi per il soccorso. Il punto è che la Procura di Agrigento, con l’analisi dei documenti richiesti a Marina, Guardia costiera e Fiamme Gialle, vuole valutare se in questa vicenda si sia concretizzato un reato di omissione di soccorso. Reato che finora non compare nel fascicolo – al momento contro ignoti – aperto dai pm agrigentini. Il Fatto è in grado di rivelare un altro retroscena.
NEL TARDO POMERIGGIO del 13 luglio, mentre il barcone con 450 persone è ancora nelle acque Sar maltesi (il tratto di mare in cui la competenza per i soccorsi spetta a Malta), è in corso una riunione a Palazzo Chigi per stabilire la strategia da tenere, in ambito europeo, con la Libia e altri Paesi del Mediterraneo, sul fronte sbarchi e immigrazione irregolare. Vi partecipano altissimi esponenti della Presidenza del Consiglio, del Viminale, dei mini- steri delle Infrastrutture e della Difesa, più gli stati maggiori delle Forze armate al completo. Mentre si discute, qualcuno mette sul tavolo un argomento più immediato, che richiede soluzione e risposta rapide: “E con il barcone che sta entrando nelle acque italiane, oggi, che si fa?”. La risposta è quella che ci si aspetta da un consesso istituzionale: “Si rispettano le regole”. Argomento chiuso.
Quali sono le regole? Semplice: un barcone di venti metri, con 450 persone a bordo, va soccorso, punto e basta. E senza attendere che chieda aiuto. Un’imbarcazione che viaggia in quelle condizioni è in pericolo, potrebbe ribaltarsi da un momento all’altro: andarle incontro per il salvataggio è un obbligo, non un’ opzione. Sciolto il consesso, però, gli sviluppi sono ben diversi. E hanno dell’incredibile. L’imbarcazione entra in acque Sar italiane, ma nessuno le va incontro. Per ore e ore. Eppure le comunicazioni con Malta e l’avvistamento del barcone, avvenuto con un aereo della missione militare europea Sophia, avvengono intorno alle 4.25 del mattino del 13 luglio. L’ingresso nella Sar italiana avviene intorno alle 18.30 del- lo stesso giorno e, come abbiamo già spiegato, nella riunione a Palazzo Chigi era stato stabilito di rispettare le regole, ovvero di avviare il soccorso. Prima che qualcuno intercetti l’imbarcazione, però, passano circa 2 ore. Durante le quali, incredibilmente, il barcone riesce ad arrivare a sole 5 miglia dall’isola di Linosa “bucando” la presenza in mare delle motovedette della Guardia costiera, della Marina militare, della missione Sophia e della Guardia di finanza. È alle 20.30 che la motovedetta delle Fiamme gialle, legittimata a intervenire per il fermo in mare, affianca il barcone. Come mai? Il Fatto già in quei giorni spiegò che, piuttosto che rispettare le regole, si attivò il gioco del cerino. Pochi giorni prima il vicepremier Salvini aveva accusato la Guardia costiera, che dipende dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, di eccessivo interventismo. E l’equipaggio del pattugliatore Diciotti, intervenuto nei salvataggi l’11 luglio, era rimasto bloccato per ore al largo di Trapani, con 67 migranti a bordo, perché il Viminale aveva chiuso il porto, fino all’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del premier Giuseppe Conte. In altre parole, anche il 14 luglio, mentre Salvini ripete che l’Italia deve mantenere la linea dura, nessuno vuole scatenare l’ira del Viminale e rischiare di restare fermo per ore dinanzi a un porto. E così – fatta eccezione per l’intervento della Gdf – il barcone rischia di arrivare da solo, con tutti i rischi per i migranti, fin dentro il porto di Linosa. Alle 20.30 interviene la motovedetta della Gdf, pochi minuti dopo altre tre della Guardia costiera. Nel frattempo quattro migranti si tuffano e muoiono annegati. Ma la Procura di Agrigento chiede di acquisire tutti i documenti, dalle 4.25 del 13 luglio fino all’annegamento, per comprendere come mai, in tutte quelle ore, per ben 19 miglia, i migranti siano riusciti a “schivare” i nostri soccorsi. O se invece siano stati i nostri soccorsi a schivare loro.
Il retroscena Nella riunione a Palazzo Chigi fu stabilito “di rispettare le regole”. Si vedrà se è stato così