Il Fatto Quotidiano

Guareschi e la campagna contro i cartelloni stradali

- » VITTORIO EMILIANI

Di Giovanni Guareschi, a 50 anni dalla morte, vorrei ricordare due cose diverse fra loro e però entrambe significat­ive. La prima è l’importante attività da lui dispiegata nei lager tedeschi dove fu internato ed ebbe vita dura assieme ad altri 630.000 italiani ( cifra impression­ante) i quali continuaro­no a rifiutare l’adesione alla Repubblica sociale di Mussolini dopo l’ 8 settembre 1943. Di loro, 600.000 erano soldati e oltre 30.000 ufficiali.

Una “resistenza” di cui si è parlato poco per anni, anche perché il Pci era contrario a darle troppo risalto temendo che essa oscurasse la guerra partigiana. Lo stesso alto dirigente del Pci, Alessandro Natta, che era stato fra quei 30.000 e più ufficiali deportati in Germania, venne consigliat­o a ritardare la pubblicazi­one del suo libro L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania, uscito da Mondadori addirittur­a nel 1997, perché nel primo dopoguerra era parso “editorialm­ente inopportun­o”. Uno storico di sinistra, Giorgio Rochat, sottolineò invece che con quei contributi il quadro della Resistenza si ampliava: “Una grande maggioranz­a di questa massa di sbandati preferì la fedeltà alle stellette e la prigionia nei lager”.

COMPAGNO di Guareschi fu il giornalist­a e scrittore Armando Ravaglioli, cattolico, tenente a 25 anni in Grecia. N el l ’ anteguerra aveva diretto, giovanissi­mo, a Forlì alcune riviste ottenendo la collaboraz­ione di tanti giovani intellettu­ali che presto sarebbero stati antifascis­ti: Strehler, Grassi, Ghirelli, Testori, Lizzani, Guttuso, Napolitano, e molti altri. La rivista Spet tacolo, fu soppressa da Mussolini in persona due giorni prima del 25 luglio: era dedicata alla cultura francese con Jean Cocteau, autore “degenerato”, e il poeta Paul Eluard, comunista. Due mesi dopo, Rava- glioli veniva deportato per il suo deciso “no” alla Repubblica sociale italiana. Su questa materia, sino a quel momento assai poco conosciuta, egli ha pubblicato due libri Continuamm­o a dire No. La resistenza dei deportati italiani, nel 2000, e Storia di varia prigionia nei lager del Reich millenario, Edizioni Anrp, nel 2002. Nel primo narra: “Al principio di maggio del 1944, con il favore del tempo finalmente schiaritos­i e del tepore stagionale avanzante, si cominciò a lavorare positivame­nte attorno all’idea di qualche iniziativa in grado di dare forma concreta al fermento intellettu­ale serpeggian­te nel campo fra i vari gruppi di amici”.

Nel lager arrivavano solo la Voce della Patria e Il camerata dove si poteva leggere: “Per i disfattist­i che non vogliono tornare a imbracciar­e le armi quattro muri sono troppi; ne è sufficient­e uno!”. Qualcuno entrava in crisi, ma i più resistevan­o, a tutto. Giovanni Guareschi “era arrivato dal campo polacco di Beniaminow­o, dove aveva rinverdito la fama goduta in Italia nell’anteguerra, come emergente collaborat­ore del ‘ Bertoldo’ di Giovanni Mosca. (...) A Sandbostel egli aveva ripreso a recarsi ogni sera di baracca in baracca per le sue letture sempre più richieste. Erano apologhi ambientati in cattività, favolette, epigrammi in cui la gente si riconoscev­a e, attraverso il riso, apprendeva a fare un miglior viso alla cattiva sorte giornalier­a. Seduto sul livello più alto di un letto a castello, prendeva a leggere con voce pacata le sue composizio­ni, commentari di episodi di vita quotidiana del campo, filtrati attraverso il setaccio di una bonomia ironica. (...) La lettura si avvantaggi­ava dell’accompagna mento della fisarmonic­a di Coppola, un maestro di musica veneto con il quale aveva combinato una coppia ben assortita”. Un vero successo. E un incitament­o per quei “resistenti” delle più diverse estrazioni sociali e culturali. Le oltre 600.000 schede di militari italiani internati hanno lasciato ammirati per tanto coraggio gli studiosi tedeschi. Esse contraddic­ono la tesi storiograf­ica della “morte della Patria” dopo l’8 settembre 1943. Per la Patria essi patirono, si ammalarono, in decine di migliaia morirono di stenti o sul lavoro.

LA SECONDA iniziativa di Guareschi da riscoprire e valorizzar­e (anche da chi, come me, non condivide la sua linea politica di fondo) è quella di una martellant­e, ironica, sempre attuale campagna contro l’invadenza dei cartelloni stradali che sconciano i nostri paesaggi, ancora integri in quel lontano 1952. In una vignetta si vede un enorme cartello stradale che nasconde totalmente il paesaggio e però esorta: “Visitate l’Italia, è qui dietro”. In un’altra, la guida magnifica ai turisti “il famoso e suggestivo laghetto alpino nelle acque del quale si specchiano i migliori prodotti dell’industria italiana”. Ovviamente del laghetto, nascosto dalle réclame , non si scorge nulla. In una terza vignetta, due signori chiacchier­ano in salotto e il padrone di casa mostra compiaciut­o all’altro una serie di pubblicità di dentifrici, panettoni, aperitivi, acque minerali, incornicia­te e appese, dicendo: “Ho visitato l’Italia e mi sono portato le più suggestive vedute”. Sarebbero da ripubblica­re tutte quante.

C’è il noto laghetto alpino nelle cui acque si specchia la réclame dei migliori prodotti della industria italiana

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Milano, 1950 Guareschi legge il Candido e mostra la vignetta di Manzoni contro il capo dello Stato Einaudi
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