Lo schianto inevitabile di un’economia drogata
Labomba I tassi bassi hanno fatto affluire capitali, imprese e aziende di credito si sono indebitate in dollari, il Pil è cresciuto su basi fragili
La virulenta crisi in Turchia è assimilabile ad un infarto. Come il cuore pompa sangue nelle varie parti del corpo umano, il sistema finanziario pompa liquidità nell’economia ossigenandone il tessuto produttivo. Al cuore sono fatali la pigrizia, l’alime ntazione bulimica e le abitudini esecrate dai cardiologi che causano l’accumulo di colesterolo. Per il sistema finanziario l’eq ui valente del colesterolo è il rischio che si diffonde progressivamente senza premonizione, senza segni esteriori, ma inesorabilmente. Ma mentre il colesterolo è misurabile attraverso un esame del sangue, per il rischio finanziario non esistono test inequivocabili, per cui le autorità politiche e di mercato hanno buon gioco a minimizzarne l’intensità. Persino l’ex capo della Federal Reserve americana Alan Greenspan – con la reputazione di miglior banchiere centrale della storia – non si accorse che il sistema finanziario americano ( e quindi quello internazionale) era un rottame sfatto che si atteggiava a centometrista.
In Turchia il dramma segue una sceneggiatura già vi- sta in centinaia di casi. Rischio e leva finanziaria nei Paesi emergenti si accumulano in un abbraccio perverso tra settore pubblico e settore privato. Gli economisti parlano di twin deficit quando al deficit pubblico si aggiunge quello della bilancia dei pagamenti. Nel tonfo della Turchia stavolta è stato preponderante il ruolo del settore privato. Ma l’essenza non cambia. Alla fine il conto arriva sempre agli stessi, cioè ai cittadini. Lo Stato non genera risorse bensì le assorbe dal settore privato. Quindi mentre gli analfabeti economici si illudono che paghi un ipotetico Pantalone (magari domiciliato su Marte) in realtà pagano Pulcinella, Arlecchino, Colombina e Meo Patacca.
COSA È SUCCESSO es at tamente sulle sponde del Bosforo? Un decennio di tassi di interesse rasoterra sui prestiti in dollari (contestuale ad un cambio deprezzato del biglietto verde), ha spinto cospicui flussi di capitale verso i Paesi emergenti. Banche commerciali e imprese private turche si sono indebitate in dollari verso creditori incauti ( incluse banche e risparmiatori italiani), felici di strappare qualche punto di interesse in più sui titoli obbligazionari. In questo modo l’economia reale è stata drogata dalla massa di capitali stranieri. Infatti il Pil si è impennato in questo decennio a ritmi medi annui intorno al 7 per cento. Ma l’economia è rimasta esposta al duplice rischio (sempre più intenso) di un apprezzamento del dollaro e di un aumento dei tassi di interesse.
Il debito estero è aumentato e il settore privato ha raggiunto un’esposizione lorda di 337 miliardi di dollari (netta di 217 miliardi). Le banche hanno debiti stimati in 100 miliardi di dollari con scadenze a un anno e la bilancia dei pagamenti ha un deficit poco inferiore al 6 per cento del Pil. Solo per continuare a pagare le importazioni occorrono 50 miliardi di dollari. Le riserve in valute convertibili della banca centrale ammontavano a inizio luglio a 74 miliardi di dollari a cui si aggiungono 22 miliardi di riserve auree. L’inflazione, oltre il 20% per i beni di maggior consumo, è fuori controllo.
OLTRE ALLA FRAGILITÀ f inanziaria la droga del credito spensierato ha allontanato dalle labbra del presidente Erdogan l’amaro calice politico delle riforme strutturali, quelle che colpiscono le rendite, fluidificano i mercati e rendono il sistema economico davvero competitivo. Però riducono le corruttele, sottraggono fette di influenze al governo e spezzano interessi corporativi. Pertanto i ras dei ricatti incrociati le osteggiano. Erdogan, ora batte sulla grancassa nazionalista farneticando di complotti esterni perché la crisi è precipitata da quando Trump ha annunciato sanzioni contro due ministri per ottenere il rilascio di un predicatore americano. Ma gli effetti pratici delle sanzioni sono risibili. Al più hanno calamitato l’attenzione su una situazione insostenibile.
LE AUTORITÀdi Borsa turche e le procure minacciano provvedimenti draconiani contro speculatori e profili social, quando la situazione ha superato il punto di non ritorno. In una settimana la lira ha perso il 25 per cento rispetto al dollaro, la Borsa è una nave senza timone, i titoli di Stato sono collassati. I provvedimenti emergenziali della banca centrale hanno tamponato la falla, ma servono troppi soldi, troppo in fretta. O arriva un aiuto da qualche paese tipo la Cina o la Russia (che però non godono di ottime condizioni) o arriva il Fondo Monetario Internazionale a negoziare le condizioni per attenuare una recessione come in Turchia non si registrava da oltre 20 anni.
Per finire è d’obbligo a chi continua a sostenere che una svalutazione produca ricchezza e benessere diffuso grazie all’aumento delle esportazioni. Il presidente Usa Donald Trump, idolo dei populo- sovranisti, dopo il tonfo della lira turca, per azzerare l’indebito vantaggio competitivo ha imposto pesanti dazi su acciaio e alluminio. Insomma, parafrasando il fidanzatino attempato di una starlet televisiva, ognuno fa il sovranista a casa sua. Ma di sicuro non ti aiuta a casa tua.