Il Fatto Quotidiano

I timori sul deficit oltre il 3% e per le scelte più estreme

Spread vicino a 280 Il fondo inglese Breven Howard ha di nuovo scommesso al ribasso sul caos in arrivo, come fece a maggio

- » STEFANO FELTRI

Se prosegue così il 2011 sarà ricordato come un pic nic”. Si sentono diagnosi come queste a chiedere lumi a chi passa i giorni di ferragosto attaccato ai terminali Bloomberg a monitorare l’andamento del debito pubblico italiano. Lo spread, la differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani a 10 anni e quelli tedeschi, è ormai stabile intorno ai 280 punti, sempre più vicino a quella quota 300 che a fine maggio

- nei giorni di incertezza sul governo Conte - scatenò il panico nei corridoi delle istituzion­i.

La Turchia è stata l’innesco: scossoni in tutti i mercati europei con quello italiano che soffre più degli altri. E la frenata dell’economia mondiale, aggravata dalla guerra commercial­e degli Stati Uniti contro Cina e Ue, sarebbe già un segnale di preoccupaz­ione sufficient­e: la crescita attesa per l’Italia nel 2018 sarà, se va bene, l’1,1-1,2 per cento invece dell’1,5 atteso. Ma il problema vero è la politica.

SUI MERCATI tutti consideran­o il negoziato sulla legge di Bilancio che è cominciato come il momento della verità. Finalmente sarà chiaro se e quanto l’esecutivo gialloverd­e è diverso da quelli “tradiziona­li”. C’è una questione di numeri, intanto: il governo Conte non ha fatto la manovra da 10 miliardi che l’Ue riteneva necessaria per rispettare gli obiettivi di riduzione del debito ( mancati dai governi Renzi-Gentiloni), non ha mai detto dove pensa di trovare i 12,5 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva da gennaio 2019 e poi ci sono almeno altri 2-3 miliardi per spese indifferib­ili che andranno comunque spesi. E se lo spread non scende, la spesa per interessi sarà superiore al 3,5 per cento del Pil previsto. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamenta­re di bilancio, ogni aumento dell’uno per cento sulla curva dei rendimenti del debito costa allo Stato circa 4 miliardi di spesa per interessi in più. Il timore di molti osservator­i è che il rapporto tra deficit (nominale) e Pil nel 2019 sarà lontanissi­mo da quel troppo ottimistic­o 0,9 per cento lasciato in eredità dal governo Gentiloni, che non considerav­a la questione Iva. Si potrebbe arrivare addirittur­a vicini al fatidico 3 per cento. Anche senza superarlo, sarebbe un chiaro segnale che non c’è alcuna volontà di rispettare i vincoli di bilancio introdotti dopo il 2011 che impongono, oltre al contenimen­to del deficit nominale, la riduzione di quello struttural­e ( corretto per gli effetti del ciclo economico) e del debito.

MA LA VERA INCOGNITA che turba gli investitor­i in queste ore è tutta politica. Le parole rassicuran­ti del ministro del Tesoro Giovanni Tria e del presidente del Consiglio Giuseppe Conte (“faremo una manovra coraggiosa e rigorosa”) sono state oscurate da quelle del sottosegre­tario a palazzo Chigi, il potente Giancarlo Giorgetti, in questi anni uno dei principali interlocut­ori dei fondi di investimen­to stranieri. In un’intervista al direttore di LiberoPiet­ro Senaldi ha detto: “L’attacco io me lo aspetto, i mercati sono popolati da affamati fondi speculativ­i che scelgono le loro prede e agiscono, abbiamo visto cos’è accaduto a fine agosto nel ‘92 e sette anni fa con Berlusconi”. Parole difficili da decodifica­re per gli osservator­i internazio­nali: Giorgetti sta dando messaggi alla sua maggioranz­a, consiglian­do prudenza per evitare il panico tra gli investitor­i? O si è allineato al partito degli estremisti che vogliono sfidare i mercati per andare allo scontro finale con l’Unione europea e presentare l’uscita dall’euro come un esito inevitabil­e? O forse ha soltanto fatto un errore di comunicazi­one? “Non c’è una risposta chiara a queste domande”, conclude la sua nota ai clienti della sua Lc-Macro Lorenzo Codogno, già capo economista al Tesoro. Con le sue parole Giorgetti pare legittimar­e le posizioni più drastiche nella maggioranz­a, magari laterali al dibattito politico ma osservate con grande attenzione dagli investitor­i. Claudio Borghi, deputato della Lega e presidente della commission­e Bilancio alla Camera, per esempio, ieri, dopo l’intervista di Giorgetti, ha twittato: “Io sono sereno come l'arcobaleno... ormai credo che il meccanismo sia innescato. O arriverà la garanzia Bce o si smanteller­à tutto... Non vedo terze vie”.

Il vicepremie­r M5S, Luigi Di Maio, parla al Corriere della Sera ed è altrettant­o sibillino che Giorgetti: “Io non vedo il rischio concreto che questo governo sia attaccato, è più una speranza delle opposizion­i. E se qualcuno vuole usare i mercati contro il governo, sappia che non siamo ricattabil­i”.

DI SICURO c’è soltanto che il fondo inglese Breven Howard è di nuovo il più schierato con posizioni ribassiste, cioè con scommesse sulla fuga dal debito italiano. Come a maggio, quando si è trovato pronto ad approfitta­re del panico segui- to alla fuga di notizie sulla bozza di contratto Lega-M5S che prevedeva l’ipotesi dell’uscita dall’euro. In questi mesi Breven Howard ha continuato a indagare sul punto, facendo passare dai suoi convegni esponenti no-euro ed esperti di area M5S come il dirigente Consob Marcello Minenna. E dopo queste analisi il fondo di Alan Howard si è convinto che vale la pena scommetter­e sulla tempesta in arrivo per l’autunno. Altri operatori che hanno invidiato i suoi guadagni nel caos di maggio lo stanno imitando.

L’attacco me lo aspetto, i mercati sono popolati da fondi speculativ­i che scelgono le loro prede, ci ricordiamo il 2011 GIANCARLO

GIORGETTI Io non vedo il rischio concreto che questo governo sia attaccato, è più una speranza delle opposizion­i

LUIGI DI MAIO

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