I timori sul deficit oltre il 3% e per le scelte più estreme
Spread vicino a 280 Il fondo inglese Breven Howard ha di nuovo scommesso al ribasso sul caos in arrivo, come fece a maggio
Se prosegue così il 2011 sarà ricordato come un pic nic”. Si sentono diagnosi come queste a chiedere lumi a chi passa i giorni di ferragosto attaccato ai terminali Bloomberg a monitorare l’andamento del debito pubblico italiano. Lo spread, la differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani a 10 anni e quelli tedeschi, è ormai stabile intorno ai 280 punti, sempre più vicino a quella quota 300 che a fine maggio
- nei giorni di incertezza sul governo Conte - scatenò il panico nei corridoi delle istituzioni.
La Turchia è stata l’innesco: scossoni in tutti i mercati europei con quello italiano che soffre più degli altri. E la frenata dell’economia mondiale, aggravata dalla guerra commerciale degli Stati Uniti contro Cina e Ue, sarebbe già un segnale di preoccupazione sufficiente: la crescita attesa per l’Italia nel 2018 sarà, se va bene, l’1,1-1,2 per cento invece dell’1,5 atteso. Ma il problema vero è la politica.
SUI MERCATI tutti considerano il negoziato sulla legge di Bilancio che è cominciato come il momento della verità. Finalmente sarà chiaro se e quanto l’esecutivo gialloverde è diverso da quelli “tradizionali”. C’è una questione di numeri, intanto: il governo Conte non ha fatto la manovra da 10 miliardi che l’Ue riteneva necessaria per rispettare gli obiettivi di riduzione del debito ( mancati dai governi Renzi-Gentiloni), non ha mai detto dove pensa di trovare i 12,5 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva da gennaio 2019 e poi ci sono almeno altri 2-3 miliardi per spese indifferibili che andranno comunque spesi. E se lo spread non scende, la spesa per interessi sarà superiore al 3,5 per cento del Pil previsto. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, ogni aumento dell’uno per cento sulla curva dei rendimenti del debito costa allo Stato circa 4 miliardi di spesa per interessi in più. Il timore di molti osservatori è che il rapporto tra deficit (nominale) e Pil nel 2019 sarà lontanissimo da quel troppo ottimistico 0,9 per cento lasciato in eredità dal governo Gentiloni, che non considerava la questione Iva. Si potrebbe arrivare addirittura vicini al fatidico 3 per cento. Anche senza superarlo, sarebbe un chiaro segnale che non c’è alcuna volontà di rispettare i vincoli di bilancio introdotti dopo il 2011 che impongono, oltre al contenimento del deficit nominale, la riduzione di quello strutturale ( corretto per gli effetti del ciclo economico) e del debito.
MA LA VERA INCOGNITA che turba gli investitori in queste ore è tutta politica. Le parole rassicuranti del ministro del Tesoro Giovanni Tria e del presidente del Consiglio Giuseppe Conte (“faremo una manovra coraggiosa e rigorosa”) sono state oscurate da quelle del sottosegretario a palazzo Chigi, il potente Giancarlo Giorgetti, in questi anni uno dei principali interlocutori dei fondi di investimento stranieri. In un’intervista al direttore di LiberoPietro Senaldi ha detto: “L’attacco io me lo aspetto, i mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono, abbiamo visto cos’è accaduto a fine agosto nel ‘92 e sette anni fa con Berlusconi”. Parole difficili da decodificare per gli osservatori internazionali: Giorgetti sta dando messaggi alla sua maggioranza, consigliando prudenza per evitare il panico tra gli investitori? O si è allineato al partito degli estremisti che vogliono sfidare i mercati per andare allo scontro finale con l’Unione europea e presentare l’uscita dall’euro come un esito inevitabile? O forse ha soltanto fatto un errore di comunicazione? “Non c’è una risposta chiara a queste domande”, conclude la sua nota ai clienti della sua Lc-Macro Lorenzo Codogno, già capo economista al Tesoro. Con le sue parole Giorgetti pare legittimare le posizioni più drastiche nella maggioranza, magari laterali al dibattito politico ma osservate con grande attenzione dagli investitori. Claudio Borghi, deputato della Lega e presidente della commissione Bilancio alla Camera, per esempio, ieri, dopo l’intervista di Giorgetti, ha twittato: “Io sono sereno come l'arcobaleno... ormai credo che il meccanismo sia innescato. O arriverà la garanzia Bce o si smantellerà tutto... Non vedo terze vie”.
Il vicepremier M5S, Luigi Di Maio, parla al Corriere della Sera ed è altrettanto sibillino che Giorgetti: “Io non vedo il rischio concreto che questo governo sia attaccato, è più una speranza delle opposizioni. E se qualcuno vuole usare i mercati contro il governo, sappia che non siamo ricattabili”.
DI SICURO c’è soltanto che il fondo inglese Breven Howard è di nuovo il più schierato con posizioni ribassiste, cioè con scommesse sulla fuga dal debito italiano. Come a maggio, quando si è trovato pronto ad approfittare del panico segui- to alla fuga di notizie sulla bozza di contratto Lega-M5S che prevedeva l’ipotesi dell’uscita dall’euro. In questi mesi Breven Howard ha continuato a indagare sul punto, facendo passare dai suoi convegni esponenti no-euro ed esperti di area M5S come il dirigente Consob Marcello Minenna. E dopo queste analisi il fondo di Alan Howard si è convinto che vale la pena scommettere sulla tempesta in arrivo per l’autunno. Altri operatori che hanno invidiato i suoi guadagni nel caos di maggio lo stanno imitando.
L’attacco me lo aspetto, i mercati sono popolati da fondi speculativi che scelgono le loro prede, ci ricordiamo il 2011 GIANCARLO
GIORGETTI Io non vedo il rischio concreto che questo governo sia attaccato, è più una speranza delle opposizioni
LUIGI DI MAIO