IL FUTURO DELL’UE SI GIOCA A BUCAREST
In questi giorni due notizie ci arrivano da Bucarest. La prima è buona: una rilevante parte dei romeni vuole difendere la democrazia, esercitare i suoi diritti di manifestare civilmente la propria opinione, allontanare dal potere i corrotti, difendere lo stato di diritto. Ai romeni che vivono nel Paese e che da tempo sono mobilitati, da venerdì scorso si sono aggiunti quelli della diaspora, milioni di romeni che hanno lasciato il Paese dopo la fine del comunismo. Molti di costoro, vivendo all’estero, sono probabilmente diventati più aperti e cosmopoliti, più immuni dal virus nazionalista, hanno fatto sacrifici materiali e psicologici importanti per garantire a sé stessi e ai loro figli un futuro decente e non tollerano che un manipolo di opportunisti corrotti si arricchisca con facilità depredando la nazione.
LA CATTIVA NOTIZIA è che il nemico di questo popolo che venerdì scorso ha riempito le piazze di Bucarest è il partito socialista attualmente al governo del Paese, la forza politica che ha ottenuto il 40 per cento dei voti alle ultime elezioni legislative e che ora è decisa ad usare la forza per reprimere le manifestazioni di piazza (peraltro regolarmente autorizzate). Venerdì sera, sfruttando come alibi la presenza di alcuni ultras calcistici tra i manifestanti, senza trovare resistenza da parte della forza pubbli- ca o forse addirittura con la sua complicità, il governo ha invitato la polizia ad usare i lacrimogeni per disperdere la folla e così causato il ferimento di centinaia di manifestanti.
Quel che la classe dirigente al potere sembra disposta a difendere con le unghie e con i denti è il proprio diritto ad arricchirsi impunemente con i proventi della corruzione. Per far questo è disposta a promuovere una legislazione che di fatto abolisce il reato di corruzione, a mettere la mordacchia alla parte più seria e onesta della magistratura, a licenziare l’efficientissima procuratrice speciale anticorruzione Laura Codruta Kovesi, e ora anche a usare la violenza contro chi la contesta pacificamente.
Tutto è funzionale alle priorità dei dirigenti del partito che guida il Paese: nominalmente socialisti, costoro sono disposti, per opportunismo, ad assecondare il vento nazionalista che spira da Varsavia e da Budapest e ad accusare gli oppositori di essere al servizio di non meglio precisate “potenze straniere” o a indicare nella sempre più esecrata Unione europea la fonte di tutti i mali che affliggono oggi la Romania.
A guidare il partito che fu prima di Ion Iliescu (cioè di colui che contro i manifestanti democratici mandò, subito dopo la cacciata del dittatore Nicolae Ceaucescu, squadre addestrate di minatori e poliziotti travestiti) e poi di Ilie Nastase (condannato e arrestato per corruzione) è oggi Liviu Dragnea, un pregiudicato condannato per frode elettorale (nella sua regione aveva fatto votare anche i morti!) e corruzione. Non potendo guidare il governo in prima persona, in base alla legislazione attuale, Dragnea vi ha insediato al vertice una sua amica priva di particolari qualità politiche - Viorica Dancila, - autrice di gaffe memorabili, ora assente per una tanto lunga quanto discussa vacanza estiva.
GLI SCONTRI I romeni in piazza e quelli emigrati stanno sfidando un governo corrotto e violento in nome dei valori europei
QUELLO IN ATTO in Romania è uno scontro molto chiaro tra una forza ben organizzata che cerca di isolare il Paese dal resto del continente e di farvi prosperare la corruzione e il nepotismo e un ampio movimento sociale dai contorni ancora indistinti, privo di una leadership, attraversato da sentimenti e da culture differenti (non solo progressiste) che cerca di resistere alla pericolosa involuzione del Paese e combatte per futuro diverso, più democratico ed europeo.
È anche dall’esito di grandi laboratori sociali come questo che si capirà quale sarà il destino politico del nostro sempre più instabile continente.