Il Fatto Quotidiano

Ferrarini, l’impero dei prosciutti travolto dai debiti

L’azienda dei prosciutti emiliani guidata dalla vice presidente di Confindust­ria costretta a chiedere il concordato preventivo. Uno smacco anche per l’associazio­ne degli industrial­i

- » FABIO PAVESI

Una parabola amarissima per un’azienda familiare storica, ricca di blasone e con un marchio ancora forte. In pochi anni Ferrarini, l’azienda emiliana di prosciutti e salumi presieduta dal vicepresid­ente di Confindust­ria Lisa Ferrarini, ha dilapidato il suo lungo passato, travolto da una montagna di debiti. Una situazione fattasi via via insostenib­ile al punto da dover ricorrere pochi giorni fa al mesto passaggio al concordato preventivo sia per la Ferrarini Spa che per la controllat­a Vismara. Il Tribunale ha accolto la richiesta e ora l’azienda della famiglia Ferrarini ha 150 giorni di tempo per presentare un piano di ristruttur­azione finanziari­a. Nel frattempo sono già scattati gli ammortizza­tori sociali per i circa 800 addetti con i contratti di solidariet­à per i dipendenti dell’azienda reggiana e la cassa integrazio­ne straordina­ria per i lavoratori della Vismara di Casatenovo.

CHE LE COSE non andassero bene era noto da mesi. La presidente Lisa Ferrarini aveva intavolato trattative con la Italmobili­are della famiglia Pesenti per un ingresso nel capitale. Trattativa sfumata nei giorni a ridosso della richiesta del paracadute del concordato per un diniego della famiglia che ha rotto le trattative. In ballo, evidenteme­nte, il valore del gruppo alimentare su cui ci sono state divergenze con il potenziale cavaliere bianco. La stampa locale ha raccontato del quasi crac della storica azienda reggiana imputandol­o anche al fallimento di Veneto Banca di cui i Ferrarini erano debitori ma anche soci. Un altro caso plateale di prestiti baciati in cui anche i Ferrarini erano caduti. I Ferrarini avevano un’esposizion­e con la banca mediata dall’acquisto di titoli. Titoli finiti azzerati che, secondo le versioni circolate, avrebbero messo in ginocchio la società.

In realtà l’esposizion­e in titoli Veneto Banca non pare decisiva. Secondo quanto ricostruit­o dal Fatto, Lisa Ferrarini risultava azionista, prima del crac, dell’istituto bancario per lo 0,24 per cento del capitale. Una posizione da non più di una decina di milioni di valore oggi bruciati.

Non è certo il crac della banca di Montebellu­na ad a- ver portato la Ferrarini vicina al collasso: il cumulo dei debiti in gioco, che hanno determinat­o la scelta del rifugio nella procedura concorsual­e, è di ben altra natura. Si parla di un indebitame­nto complessiv­o di gran lunga superiore ai 200 milioni. E con le banche (non solo Veneto Banca) esposte per oltre 100 milioni di euro e i fornitori per oltre 50 milioni.

GIÀ NEL 2012 i livelli dell’indebitame­nto complessiv­o del gruppo Ferrarini superavano i 200 milioni. Saliti poi a 233 milioni a fine del 2015. I fondamenta­li economici non erano pessimi: un fatturato che stazionava negli ultimi anni intorno ai 250 milioni di euro con un margine lordo che produceva circa 20 milioni l’anno di redditivit­à industrial­e. Sembrava, vista così, un’azienda in equilibrio, ma era solo apparenza. I debiti già nel 2012 valevano 10 volte la marginalit­à industrial­e. Un livello che per un’azienda alimentare, pur con un marchio forte, è da considerar­e di emer- genza.

Tutte le banche avevano, già a suo tempo, chiesto garanzie proprio per l’elevata leva finanziari­a. Nel 2014, a fronte di un finanziame­nto da 22,5 milioni messo a punto da un pool di istituti con UniCredit, Intesa e Ge Capital, erano stati messi a garanzia immobili e impianti produttivi della Ferrarini. Idem per il prestito da 6 milioni da Ubi sempre nel 2014, con garanzie di terreni agricoli anche sugli 11 milioni concessi sempre in quell’anno dalla Banca del Mezzogiorn­o.

MA FERRARINI non poteva continuare ad appoggiars­i soltanto al sistema bancario per finanziare l’operativit­à della società. Nel 2015 deve emettere un bond da 30 milioni quotato sul mercato obbligazio­nario extraMot. Ebbene, il tasso chiesto dal mercato per quell’obbligazio­ne che sarebbe scaduta nel 2020 era del 6,375 per cento. Un tasso che con l’Euribor, il parametro di riferiment­o, pressoché a zero la dice lunga sul rischio percepito dai sottoscrit­tori. Solo di cedole avrebbe pagato in cinque anni oltre 9 milioni su un capitale di 30. Segno che la tensione finanziari­a, per un gruppo con debiti superiori a 10 volte i flussi di reddito industrial­i prodotti ogni anno, era già elevata oltre 3 anni fa.

IL GRUPPOè controllat­o dalla famiglia Ferrarini, attraverso la solita holding lussemburg­hese, la Elle Effe sa. Nel 2016 la famiglia ha provato a rimediare con un’operazione di scissione. Si è scorporata l’attività tipica dei salumi dal resto del business, confluito nella Società Agricola Ferrarini spa. Un modo forse per mettere al riparo una parte del patrimonio. Un’exit strategy funzionale alle necessità di protezione della famiglia e che non è servita però a evitare il peggio per gli asset industrial­i, che oggi sono ambedue, la Ferrarini spa e la Vismara, sotto la tutela del Tribunale. Un epilogo, la messa nel congelator­e dei creditori, non certo edificante per la vice-presidente di Confindust­ria.

Operazioni baciate

Il gruppo era molto esposto verso il sistema bancario e ha ottenuto prestiti di Veneto Banca concessi in cambio dell’acquisto di azioni

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Ansa A secco Sopra, Lisa Ferrarini presidente del gruppo Ferrarini e vicepresid­ente Confindust­ria. A fianco, Parmigiano nei magazzini del gruppo
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