Ferrarini, l’impero dei prosciutti travolto dai debiti
L’azienda dei prosciutti emiliani guidata dalla vice presidente di Confindustria costretta a chiedere il concordato preventivo. Uno smacco anche per l’associazione degli industriali
Una parabola amarissima per un’azienda familiare storica, ricca di blasone e con un marchio ancora forte. In pochi anni Ferrarini, l’azienda emiliana di prosciutti e salumi presieduta dal vicepresidente di Confindustria Lisa Ferrarini, ha dilapidato il suo lungo passato, travolto da una montagna di debiti. Una situazione fattasi via via insostenibile al punto da dover ricorrere pochi giorni fa al mesto passaggio al concordato preventivo sia per la Ferrarini Spa che per la controllata Vismara. Il Tribunale ha accolto la richiesta e ora l’azienda della famiglia Ferrarini ha 150 giorni di tempo per presentare un piano di ristrutturazione finanziaria. Nel frattempo sono già scattati gli ammortizzatori sociali per i circa 800 addetti con i contratti di solidarietà per i dipendenti dell’azienda reggiana e la cassa integrazione straordinaria per i lavoratori della Vismara di Casatenovo.
CHE LE COSE non andassero bene era noto da mesi. La presidente Lisa Ferrarini aveva intavolato trattative con la Italmobiliare della famiglia Pesenti per un ingresso nel capitale. Trattativa sfumata nei giorni a ridosso della richiesta del paracadute del concordato per un diniego della famiglia che ha rotto le trattative. In ballo, evidentemente, il valore del gruppo alimentare su cui ci sono state divergenze con il potenziale cavaliere bianco. La stampa locale ha raccontato del quasi crac della storica azienda reggiana imputandolo anche al fallimento di Veneto Banca di cui i Ferrarini erano debitori ma anche soci. Un altro caso plateale di prestiti baciati in cui anche i Ferrarini erano caduti. I Ferrarini avevano un’esposizione con la banca mediata dall’acquisto di titoli. Titoli finiti azzerati che, secondo le versioni circolate, avrebbero messo in ginocchio la società.
In realtà l’esposizione in titoli Veneto Banca non pare decisiva. Secondo quanto ricostruito dal Fatto, Lisa Ferrarini risultava azionista, prima del crac, dell’istituto bancario per lo 0,24 per cento del capitale. Una posizione da non più di una decina di milioni di valore oggi bruciati.
Non è certo il crac della banca di Montebelluna ad a- ver portato la Ferrarini vicina al collasso: il cumulo dei debiti in gioco, che hanno determinato la scelta del rifugio nella procedura concorsuale, è di ben altra natura. Si parla di un indebitamento complessivo di gran lunga superiore ai 200 milioni. E con le banche (non solo Veneto Banca) esposte per oltre 100 milioni di euro e i fornitori per oltre 50 milioni.
GIÀ NEL 2012 i livelli dell’indebitamento complessivo del gruppo Ferrarini superavano i 200 milioni. Saliti poi a 233 milioni a fine del 2015. I fondamentali economici non erano pessimi: un fatturato che stazionava negli ultimi anni intorno ai 250 milioni di euro con un margine lordo che produceva circa 20 milioni l’anno di redditività industriale. Sembrava, vista così, un’azienda in equilibrio, ma era solo apparenza. I debiti già nel 2012 valevano 10 volte la marginalità industriale. Un livello che per un’azienda alimentare, pur con un marchio forte, è da considerare di emer- genza.
Tutte le banche avevano, già a suo tempo, chiesto garanzie proprio per l’elevata leva finanziaria. Nel 2014, a fronte di un finanziamento da 22,5 milioni messo a punto da un pool di istituti con UniCredit, Intesa e Ge Capital, erano stati messi a garanzia immobili e impianti produttivi della Ferrarini. Idem per il prestito da 6 milioni da Ubi sempre nel 2014, con garanzie di terreni agricoli anche sugli 11 milioni concessi sempre in quell’anno dalla Banca del Mezzogiorno.
MA FERRARINI non poteva continuare ad appoggiarsi soltanto al sistema bancario per finanziare l’operatività della società. Nel 2015 deve emettere un bond da 30 milioni quotato sul mercato obbligazionario extraMot. Ebbene, il tasso chiesto dal mercato per quell’obbligazione che sarebbe scaduta nel 2020 era del 6,375 per cento. Un tasso che con l’Euribor, il parametro di riferimento, pressoché a zero la dice lunga sul rischio percepito dai sottoscrittori. Solo di cedole avrebbe pagato in cinque anni oltre 9 milioni su un capitale di 30. Segno che la tensione finanziaria, per un gruppo con debiti superiori a 10 volte i flussi di reddito industriali prodotti ogni anno, era già elevata oltre 3 anni fa.
IL GRUPPOè controllato dalla famiglia Ferrarini, attraverso la solita holding lussemburghese, la Elle Effe sa. Nel 2016 la famiglia ha provato a rimediare con un’operazione di scissione. Si è scorporata l’attività tipica dei salumi dal resto del business, confluito nella Società Agricola Ferrarini spa. Un modo forse per mettere al riparo una parte del patrimonio. Un’exit strategy funzionale alle necessità di protezione della famiglia e che non è servita però a evitare il peggio per gli asset industriali, che oggi sono ambedue, la Ferrarini spa e la Vismara, sotto la tutela del Tribunale. Un epilogo, la messa nel congelatore dei creditori, non certo edificante per la vice-presidente di Confindustria.
Operazioni baciate
Il gruppo era molto esposto verso il sistema bancario e ha ottenuto prestiti di Veneto Banca concessi in cambio dell’acquisto di azioni