Spezzata la spina dorsale della città Merci e turismo verso la paralisi
I rischi Le macerie sulla ferrovia che va al porto. La Liguria è tagliata in due
Genova
isolata dal Ponente, dal Piemonte e dalla Francia. Il porto che rischia di essere strozzato. La Liguria divisa in due.
Certo, sono i giorni del dolore e dei morti. Ma la tragedia di ieri potrebbe mettere definitivamente in ginocchio, per anni, l’economia di una città in crisi. Anche a causa dei collegamenti inadeguati.
Già, perché dal Morandi, ricordano le statistiche, passavano ogni anno oltre 25,5 milioni di vetture, circa il 30 per cento del traffico in uscita da Genova. E qui il danno sarà duplice: il Morandi, soprattutto la mattina, porta in città decine di migliaia di pendolari che raggiungono Genova dal savonese e dal Ponente cittadi- no. Già oggi si assiste a intasamenti quotidiani. Pensare che questo traffico possa essere dirottato sulle strade cittadine è una condanna alla paralisi. Ma trovare alternative pare impossibile. C’è poi da dire dei camion che da Piemonte e Francia ogni giorno arrivano per rifornire attività commerciali e industrie.
Infine il turismo: il crollo del Morandi, suona stonato dirlo in un giorno di lutto, cambierà – magari dirottando altrove i flussi - le abitudini di milioni di lombardi e piemontesi. Il turismo qui vale il 15 per cento del pil.
Ma c’è soprattutto il porto. Perché ieri il ponte Morandi è crollato proprio sulla ferrovia che porta ai moli. Bastava guardare: a poche centinaia di metri dal disastro c’è la montagna di container del gruppo Spinelli. Migliaia di contenitori che avrebbero dovuto essere caricati sui convogli destinati alla Pianura. Un’enorme gru continuava instancabilmente ad impilarli uno sull’altro. Ma adesso? “La linea è coperta di macerie, chiederemo di intervenire subito sennò i danni per il porto saranno enormi”, spiega Edoardo Rixi, sottosegretario genovese ai Trasporti.
PER IL PORTO di Genova, che oggi movimenta 2,3 milioni di teu (l’unità di misura dei container) ogni anno, potrebbe essere la fine. La resa contro i concorrenti del mare del Nord, ma anche di fronte agli scali italiani: Trieste, Livorno, ma anche i liguri La Spezia e Savona. Difficile, impensabile, che questo livello possa essere mantenuto senza trasporti adeguati. E parliamo del più grande porto d’Italia. Non solo, del maggiore del Mediterraneo. Essenziale per le industrie della Lombardia e del Piemonte. Ma anche per la Svizzera (che rischia così di rivolgersi sempre più verso Amburgo e Rotterdam). Il porto, soprattutto, maggiore industria della Liguria, una regione ormai abbandonata da decine di aziende. Lo scalo ha una produzione che, per la Liguria, vale 10,9 miliardi l’anno e ga-
Il nodo portuale La tragedia potrebbe mettere definitivamente in ginocchio un’economia già in crisi
rantisce 54 mila posti di lavoro (ma è essenziale anche per il resto d’Italia dove, contando l’indotto, garantisce 9,5 miliardi di valore aggiunto e 122mila unità di lavoro). Dove si dirigeranno adesso gli operatori? È la domanda che molti si facevano ieri vedendo le rotaie distrutte.
E torna ovviamente d’attua- lità la questione delle grandi opere previste in Liguria: il Terzo Valico Ferroviario e la Gronda autostradale. La nuova linea ferroviaria dovrebbe, assicura chi la sostiene, offrire collegamenti moderni al porto. Un progetto, però, già vecchio di trent’anni, basato su studi molto discussi che ha già collezionato diverse inchie- ste. E poi, appunto, c’è la Gronda: un tracciato autostradale che dovrebbe aggirare il nodo di Genova, garantendo nel contempo una viabilità decente alla città.
MA ANCHE QUIi calcoli dei costi, dei rischi ambientali e il progetto del percorso hanno suscitato appetiti tra i grandi operatori e perplessità tra gli abitanti spesso espropriati delle loro case. Una cosa oggi, però, è sicura: Genova, lo si sapeva da decenni, sopravviveva grazie al ponte Morandi. Senza quello la città e il suo porto rischiano di soffocare. Dopo le alluvioni, dopo il crollo della torre piloti, rischia di essere il colpo definitivo.