Il Fatto Quotidiano

NON LASCIAMO AI PRIVATI I BENI PUBBLICI E SOVRANI

- » UGO MATTEI

Tragedie come quella del ponte Morandi non sono incidenti. Sono esiti del tutto prevedibil­i di investimen­ti insufficie­nti nella prevenzion­e. Secondo la cosiddetta, Hand formula of negligence (dal nome del giudice statuniten­se Learned Hand), si ha colpa quando gli investimen­ti in prevenzion­e sono minori del danno moltiplica­to per la probabilit­à del suo evento. Al di là dei freddi calcoli economici, sempre assai volgari di fronte alle vite umane spezzate, non c’è dubbio che la formula di Hand si dovrebbe applicare anche allo Stato nella gestione del suo territorio.

COME COSTRUIRE gli incentivi necessari perché lo Stato sappia davvero comportars­i, nei confronti dei suoi cittadini, come il proverbial­e “buon padre di famiglia” del diritto romano o come la “persona ragionevol­e” della tradizione anglo-americana?

Poiché lo Stato, al di là dell’astrazione della

“persona giuridica pubblica”, altro non è che un insieme di persone fisiche cui sono delegate funzioni sovrane, la soluzione deve essere struttural­e. Occorre cioé incentivar­e chiunque svolga funzioni pubbliche a comportars­i rispetto alla cura dei beni affidatigl­i con la stessa diligenza che un buon padre di famiglia utilizzere­bbe nel gestire il patrimonio dei suoi figli. La soluzione struttural­e del problema del degrado territoria­le richiede necessaria­mente un intervento sul regime giuridico dei beni pubblici. Bisogna cioè evitare in radice che responsabi­lità delicatiss­ime vengano messe nelle mani di soggetti che struttural­mente non sono in grado di farsene carico in quanto rispondent­i a incentivi diversi dall’interesse pubblico. Il perseguime­nto del profitto privato di breve periodo introduce incentivi incompatib­ili con la cura del pubblico interesse: non è la prima volta che Benetton diventa triste esempio di questa struttural­e incompatib­ilità fra il proprio profitto ed il rispetto della vita umana (basti ricordare l’atteggiame­nto verso i Mapuche in Cile).

Di questi problemi struttural­i si era occupata intensamen­te, fra il giugno del 2007 e il marzo del 2008, la Commission­e Rodotà istituita presso il Ministero della Giustizia al fine di ripensare il regime giuridico dei beni pubblici rendendoli più robusti nei confronti delle facili privatizza­zioni che, per “portare l’Italia in Europa”, hanno determinat­o dai primi anni ’90 la svendita del nostro patrimonio pubblico. La Commission­e è nota soprattutt­o per il suo lavoro di definizion­e dei beni comuni (acqua in testa) anche se la sua proposta di legge delega (mai sostenuta dal Pd e da Berlusconi) non ha mai raggiunto neppure la fase di una discussion­e plenaria in Parlamento.

MENO NOTOè che la Commission­e si è occupata di beni pubblici ben più in generale suggerendo regimi giuridici diversi per i diversi beni pubblici a seconda delle funzioni cui essi devono esser deputati. Le autostrade, le grandi vie di comunicazi­one anche ferroviari­a, nonché gli slot delle grandi tratte aeree furono oggetto di approfondi­to studio e discussion­e. Si aprì un dibattito intenso fra quella componente della Commission­e ( soprattutt­o il sottoscrit­to con Alberto Lucarelli e Daniela Di Sabato) che voleva definirli “beni pubblici sovrani” e la componente più legata alla visione del cosiddetto Stato Regolatore (in particolar­e i commissari Marco D’Alberti e Mauro Renna) che più preoccupat­a delle compatibil­ità europee, non riteneva opportuno legare questi beni pubblici al concetto di sovranità.

Alla fine la mediazione fu trovata, con la consueta maestria, dallo stesso Stefano Rodotà nella nozione dei “beni ad appartenen­za pubblica necessaria” per definire “beni che soddisfano interessi generali fondamenta­li la cui cura discende dalle prerogativ­e dello Stato”. La Commission­e all’unanimità decise di definirli “né usucapibil­i (da privati) né alienabili”(a privati). Se quel dibattito fosse proseguito in sede parlamenta­re forse interessi privati estrattivi spinti dal mero profitto privato, non sarebbero più in grado di causare tragedie come quella del Ponte Morandi, perché non potrebbero vedersi più affidata la gestione dei beni pubblici sovrani.

È urgente che il disegno di legge delega della Commission­e Rodotà sia ripreso e discusso in sede parlamenta­re. I tempi sono fin troppo maturi. Qualche rassicuraz­ione in tal senso pare sia stata data dal presidente della Camera Roberto Fico. Oggi Di Maio parla di togliere le concession­i a Benetton. Ciò può farsi solo in un quadro riformator­e generale. Il Presidente del Consiglio Conte, che discende accademica­mente in linea diretta da Rodotà, ha la cultura giuridica necessaria per capire l’importanza di riprendere quel lavoro. Occorre solo volerlo, dimostrand­osi davvero liberi dall’ influenza assassina dei poteri privati organizzat­i.

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